Giacomo Assandri

I prati da sfalcio (o stabili) sono indubbiamente uno dei tratti più caratteristici del paesaggio di media e bassa quota delle nostre montagne e sono considerati uno degli ecosistemi più biodiversi a scala globale. La loro esistenza è legata a doppio filo con il settore lattiero-caseario e le profonde trasformazioni che lo hanno interessato negli ultimi decenni hanno inevitabilmente generato cambiamenti significativi anche in questo tipo di agroecosistema.
Con l’ammodernamento e l’intensificazione delle pratiche gestionali, spesso favorite dalla Politica Agraria Comune (PAC), sulle Alpi, nel volgere di pochi anni, si è assistito alla trasformazione di prati stabili ricchi di specie e caratterizzati da splendide fioriture, in prati a bassa ricchezza floristica, dominati da poche specie nitrofile e di basso interesse foraggero. Le trasformazioni delle comunità vegetali hanno importanti conseguenze anche per i livelli trofici superiori, impattando su invertebrati e vertebrati, sebbene le evidenze scientifiche su questi ultimi siano meno abbondanti.

Quali siano stati gli effetti di questi cambiamenti sulle comunità di uccelli (qui utilizzati come indicatori biologici) dei prati delle Alpi, e nello specifico del Trentino, è la domanda che ha motivato l’ultima ricerca della Sezione, recentemente pubblicata sulla rivista internazionale di ecologia Journal of Applied Ecology (https://besjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/1365-2664.13332).

Nel corso della ricerca, sono state studiate le comunità di uccelli dei prati da sfalcio in 63 aree campione, scelte come rappresentative dei vari contesti geografici interessati dalla praticoltura nella provincia, a quote comprese fra i 300 e i 1550 m s.l.m.. Contestualmente sono stati raccolti dati ambientali relativi alla composizione e alla struttura del paesaggio, ma anche alla gestione di più di 900 particelle di prato, valutando nello specifico il livello di conversione dei prati in altre colture, il livello di concimazione (utilizzando come misura indiretta lo stato delle comunità vegetali) e la tempistica degli sfalci.

Bigia padovana (Sylvia nisoria). Ph. Giacomo Assandri/ Arch. MUSE.

I risultati evidenziano chiaramente come i paesaggi caratterizzati da un’elevata superficie di prati recentemente convertiti in altre forme colturali ospitino comunità di uccelli dominate da specie generaliste che sostituiscono quelle “specialiste” del prato. Laddove permane il prato stabile, diverse specie sono influenzate dalla data dello sfalcio che, se avviene prima del 20 giugno, riduce il successo riproduttivo di quelle che nidificano a terra nell’erba, rendendo di fatto il prato inospitale per queste specie.
L’elevata concimazione riduce complessivamente il numero di specie di uccelli che si trovano nei prati; infatti, molte specie, anche non specialiste, utilizzano questi ambienti per alimentarsi e risentono probabilmente dell’impoverimento delle comunità di piante e invertebrati tipico dei prati eutrofizzati.

Nelle aree prative del Trentino sono presenti anche alcune specie che non nidificano nell’erba, ma utilizzano elementi strutturali tipici dei paesaggi agrari estensivi, quali siepi e cespugli: tra quelle di particolare pregio conservazionistico ricordiamo l’averla piccola e la bigia padovana. Queste risentono della meccanizzazione della praticoltura, che prevede la rimozione di questi elementi per facilitare sfalci e concimazioni su ampie superfici con l’uso di mezzi agricoli pesanti.

In conclusione, lo studio ha evidenziato come le pratiche agricole e la moderna zootecnia di montagna abbiano perso quel profondo legame con il paesaggio tradizionale e, conseguentemente, con la ricchezza faunistica e floristica che li caratterizzava. Per favorire la biodiversità dei prati montani, nella futura pianificazione e valorizzazione dei territori montani sarebbe importante salvaguardare e favorire quelle microeconomie di nicchia e sostenibili, basate su produzioni casearie locali di alto valore gastronomico – ma anche economico – legate con il paesaggio tradizionale in cui sono radicate e da cui traggono il loro valore identitario, non trascurando l’importanza che queste possono avere anche per altri comparti economici importanti, quali il turismo.

La pre-print dell’articolo è disponibile qui:

La ricerca è stata condotta in collaborazione e co-finanziata dal Servizio Sviluppo Sostenibile e Aree Protette e dal Servizio Politiche Sviluppo Rurale della Provincia Autonoma di Trento, e in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia con la supervisione del prof. Giuseppe Bogliani.

In una recente ricerca della Sezione, pubblicata sulla rivista internazionale di agroecologia Agriculture, Ecosystems & Environment, ci siamo chiesti se fosse possibile armonizzare la conservazione della biodiversità con il potenziamento dei “benefici” che un paesaggio culturale può fornire quotidianamente all’uomo: i “servizi ecosistemici”.
I paesaggi culturali sono il frutto delle complesse interazioni tra uomo e natura e sono contraddistinti da caratteristiche ben definite, da una tangibile presenza di ambienti naturali o semi-naturali, retaggio di quel paesaggio naturale da cui si sono originati, e da una rilevante eterogeneità ambientale; entrambi risultato di un’agricoltura estensiva e “tradizionale”.

I vigneti terrazzati della Val di Cembra sono l’elemento più caratteristico di questo Paesaggio Rurale Storico del Trentino. Foto Giacomo Assandri/Arch. MUSE

Nello specifico, ci si è focalizzati sul valore estetico fornito dai paesaggi vitati del Trentino, in quanto la viticoltura è uno dei più tipici tratti dell’agricoltura di questo territorio e i vigneti alle basse quote costituiscono uno degli elementi che caratterizza maggiormente il paesaggio delle nostre vallate. Esistono tuttavia dei netti contrasti determinati dalle caratteristiche topografiche e bioclimatiche del territorio e dal loro riflesso sulle pratiche agricole: nei fondivalle e nei settori planiziali, la viticoltura è condotta in maniera estremamente intensiva e il paesaggio che ne risulta è dominato dalla monocultura; al contrario, nei settori collinari e di versante, i vigneti sono il risultato di una capillare opera di trasformazione del territorio, basata sulla creazione di terrazzamenti sostenuti da muretti a secco. Questi paesaggi terrazzati, quali ad esempio quelli che si incontrano in Val di Cembra, sono considerati Paesaggi Rurali Storici e, in quanto tali, rivestono una primaria rilevanza storico-culturale.
La bellezza di un paesaggio è ritenuta da molti un valore importante che aggiunge qualità alla vita, ma comporta anche evidenti ritorni economici; si pensi ad esempio all’attrattività turistica o al maggiore valore delle proprietà che caratterizzano i luoghi esteticamente più gradevoli.

Il codirosso comune è una specie indicatrice dei vigneti a maggiore biodiversità avifaunistica del Trentino. Foto Andrea Galimberti.

Ma come misurare un concetto così soggettivo come la bellezza?
Per farlo si è utilizzato un questionario fotografico, i cui rispondenti erano chiamati a quantificare il valore estetico di 24 paesaggi vitati caratterizzati da differenti livelli di intensificazione della viticoltura, dando un punteggio da uno a dieci.
Negli stessi paesaggi si è contemporaneamente valutato il numero di specie di uccelli presenti e l’abbondanza e le esigenze ecologiche di una specie in particolare, il codirosso comune. Questo piccolo passeriforme variopinto e dal canto melodioso, è piuttosto diffuso nei vigneti del Trentino, a patto che questi soddisfino due sue esigenze fondamentali: la presenza di grossi insetti, di cui si nutre, e di cavità naturali o artificiali, in cui nidifica.
I risultati della ricerca hanno evidenziato come i paesaggi con maggiore abbondanza di codirossi corrispondevano a quelli cui i rispondenti del questionario (più di 400 persone!) avevano attribuito un elevato valore estetico. Allo stesso modo, le aree caratterizzate da una maggiore abbondanza di codirossi ospitavano anche le comunità di uccelli più ricche, confermando come la specie sia davvero un ottimo indicatore della biodiversità avifaunistica delle aree studiate. Inoltre, il codirosso è risultato essere favorito dagli elementi tradizionali più tipici del paesaggio culturale, che contribuiscono fortemente anche al suo valore estetico. Infatti, questa specie è risultata strettamente associata alla diversità ambientale a piccola scala e in particolare dalla presenza di siepi, filari di alberi e bordure erbose, in cui caccia le sue prede, e di muretti a secco, nei cui anfratti costruisce il nido.
La ricerca ha fatto emergere un insegnamento importante: gestire il paesaggio per mantenere o potenziare un servizio ecosistemico (il valore estetico), che all’atto pratico significa conservare quegli elementi tradizionali che qualificano il paesaggio stesso come “culturale”, permetterebbe di ottenere il risultato (“collaterale”, se vogliamo, ma tutt’altro che secondario!) di conservare la biodiversità, giungendo così a una sintesi tra esigenze produttive, conservazione della natura e ottimizzazione dei servizi ecosistemici.

I muretti a secco sono un tratto caratterizzante dei paesaggi terrazzati del Trentino e sono uno degli elementi che permettono a specie come il codirosso di nidificare in questi ambienti. Foto Giacomo Assandri/Arch. MUSE

L’articolo è stato scritto da Giacomo Assandri, Mattia Brambilla e Paolo Pedrini. Revisione di Chiara Fedrigotti.

Il Torcicollo, un picchio singolare

Il Torcicollo, Jynx torquilla, è l’unico rappresentante europeo della sua famiglia, quella dei picchi, a non scavare attivamente le cavità dove nidifica, ma ad utilizzare cavità scavate da altri, o artificiali. È inoltre l’unica specie che compie movimenti migratori a lungo raggio, che portano una parte consistente delle sue popolazioni paleartiche a svernare a Sud del Sahara. Con altre specie di picchi, ad esempio il Picchio verde, condivide invece la dieta, principalmente basata su formiche prelevate al suolo.
L’abitudine di nidificare in cavità (soprattutto di vecchi alberi) e di passare molto tempo a terra, hanno probabilmente determinato l’evoluzione di un piumaggio spiccatamente mimetico, marrone-grigiastro screziato di bruno scuro, che rende spesso difficoltosa la sua individuazione, a meno di udirne il singolare e monotono “canto”: un lamentoso keeekeeekeeekeee ripetuto a intervalli regolari da un posatoio elevato, soprattutto in marzo-aprile, all’inizio della stagione riproduttiva.

Un torcicollo nei vigneti intensivi della Valle dell’Adige. Foto G. Assandri

Anche il suo nome curioso merita una spiegazione: si rifà, infatti, al particolare comportamento anti-predatorio, comune ad adulti e pulcini, caratterizzato da sinuosi movimenti del lungo collo, che possono ricordare i movimenti di un serpente (il video è stato ripreso durante le attività di inanellamento a scopo scientifico a Bocca di Caset/Video Arch. MUSE).

Un tempo comune e diffuso, il torcicollo è oggi un uccello seriamente minacciato in gran parte d’Europa. Nel nostro Paese si è rarefatto o è addirittura scomparso da ampie porzioni di territorio dove un tempo era abbondante ed è pertanto considerato “in pericolo” nella Lista Rossa Nazionale.
I ricercatori europei si interrogano da tempo sulle cause del suo declino, ma ancora oggi queste non sono state del tutto comprese. Sicuramente, la notevole intensificazione dell’agricoltura in Europa, che ha determinato la scomparsa di grossi alberi isolati e dei tradizionali frutteti ad alto fusto, che la specie utilizza per nidificare, e degli ambienti marginali, dove la specie si alimenta, sono fra le cause principali, insieme all’intensificazione della gestione forestale e a un possibile impatto dei cambiamenti climatici.

Uno studio sul Torcicollo in Trentino

Durante le ricerche portate avanti dalla Sezione di Zoologia dei Vertebrati nei vigneti del Trentino, è stato sorprendente scoprire come il torcicollo fosse relativamente abbondante e ben distribuito in questi ambienti, anche in quelli più intensivi, nonostante l’apparente penuria di adeguati siti di nidificazione. Per provare a capire come questo fosse possibile, la specie è stata oggetto di uno specifico progetto di ricerca, portato avanti tra 2015 e 2016, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista internazionale di ornitologia Journal of Ornithology (l’articolo originale, scelto come highlight paper del mese si può leggere integralmente qui).
Lo studio ha evidenziato come la specie tenda a selezionare vigneti a pergola (rispetto a quelli a spalliera) con un elevato numero di “estremità di tubo”. I tubi sono le travi portanti del pergolato e appaiono come condotte di metallo cave, alla cui estremità si aprono fori di 7-8 cm, che sorprendentemente il torcicollo visita regolarmente nella fase di esplorazione delle cavità che precede la deposizione. Tali tubi sono più abbondanti nei vigneti moderni, tipici delle aree a viticultura intensiva, mentre nei vigneti più antichi le travi sono generalmente in legno. Ciò, paradossalmente, determina una maggiore frequenza del torcicollo nelle aree a viticultura intensiva del Trentino, piuttosto che in quelle più estensive, dove sarebbe normale aspettarselo.

A. Le travi metalliche cave, le cui estremità (particolare) sono talvolta utilizzate dal torcicollo per nidificare, tuttavia senza successo. B. I corrispettivi in legno, tipici delle aree meno intensive delle aree vitate trentine. Foto G. Assandri.

Ma come può un animale, per quanto di ridotte dimensioni, portare a termine la riproduzione in un sito così poco naturale e così diverso da quelli in cui è solito nidificare?
Per rispondere a questo quesito nel 2016 sono stati controllati due volte più di 3000 estremità di tubo (oltre a 18 cassette nido artificiali presenti nell’area) con l’ausilio di un sensore ottico con microcamera. I risultati di tale indagine sono stati sorprendenti e preoccupanti al tempo stesso: su più di 3000 estremità di tubo ispezionate, complessivamente sono state individuate solo sei nidificazioni, tutte abbandonate nella fase di deposizione delle uova, traducendosi quindi in nemmeno un giovane involato! Al contrario, le sole 18 cassette nido presenti nell’area di studio hanno ospitato sette covate, con un buon tasso di involo (36%).

Tre uova di torcicollo deposte all’interno di un tubo, probabilmente già abbandonate al momento del ritrovamento. Foto A. Bernardi.

Come si possono interpretare questi risultati?
Sebbene i tubi possano rappresentare un’attrattiva per il torcicollo nelle prime fasi di assestamento dei territori, complessivamente si sono dimostrati essere siti di nidificazione inadeguati per la specie, dal momento che lo spazio al loro interno è estremamente ridotto e, come è emerso nello studio, le loro temperature interne sono in media 10°C superiori a quelle ambientali, con frequenti picchi di oltre 40°C. Pochi individui (forse i più anziani, o i dominanti) nidificano di conseguenza con successo nelle pochissime cassette nido disponibili, mentre gli altri sono destinati a spostarsi o a non nidificare.
Tale quadro suggerirebbe che i vigneti intensivi del Trentino, in mancanza di cavità naturali o nidi artificiali, rappresentino una trappola ecologica per il torcicollo, confermando ancora una volta l’ipotesi secondo cui l’agricoltura intensiva è verosimilmente una delle principali cause di declino della specie in Europa.
Una possibile mitigazione del problema consisterebbe nel fornire cassette nido alla specie, sebbene un’azione di conservazione di questo tipo andrebbe preventivamente sperimentata su aree campione per valutare se l’ambiente antropico rappresentato dal vigneto fornisca al torcicollo risorse trofiche sufficienti all’allevamento della prole.

Un torcicollo posato all’estremità di una trave metallica in un vigneto trentino. Acquerello originale di Gaia Bazzi.