I cambiamenti climatici sono realtà per l’avifauna italiana

by Davide Scridel on

Un recente articolo scientifico sviluppato proprio dai ricercatori MUSE – Sezione Zoologia dei Vertebrati, in collaborazione con l’Università di Pavia, ed il Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino, dimostra come negli ultimi 30 anni i cambiamenti climatici abbiano influenzato l’avifauna italiana.

Quest’estate è stata inaugurata al Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino una mostra dedicata proprio a questo argomento e rimarrà visitabile tutto l’autunno (orari: 8:30-12:30 e 14:30-17).

GLI AMBIENTI MONTANI CAMBIANO

A scala globale le zone montuose coprono appena ⅕ della superficie terrestre, ma includono ben ¼ della biodiversità totale e quasi il 50% degli hotspot di biodiversità (Myers et al. 2000; Millennium Ecosystem Assessment 2003): per questa ragione le montagne sono considerate regioni ad alto valore conservazionistico. L’effetto del riscaldamento climatico sulla superficie terrestre non avviene in maniera uniforme, ma varia seguendo andamenti latitudinali ed altitudinali, con estremi di surriscaldamento verso i poli e ad elevate altitudini (Beniston & Rebetez 1996). Questa relazione desta molta preoccupazione proprio per la biodiversità presente nelle aree montuose temperate, incluse le nostre Alpi. Sull’arco alpino, gli effetti dei cambiamenti climatici hanno infatti già causato importanti alterazioni tra cui ricordiamo l’innalzamento del limite degli alberi e della distribuzione di alcune specie ornitiche, ma anche la variazione del successo riproduttivo di alcune specie. La minaccia è ulteriormente aggravata da fattori antropici come lo sfruttamento delle foreste, l’abbandono dei pascoli e la realizzazione di nuovi impianti sciistici, che in modi diversi contendono e strappano a molte specie gli habitat ideali, costituiti da praterie e altri ambienti d’alta quota. Tali cambiamenti in particolare stanno causando un calo delle popolazioni di numerose specie di uccelli che vivono negli habitat alpini.

IL CLIMA IN ITALIA
Proprio quest’anno uno studio dell’ISPRA ha dimostrato come l’Italia stia climaticamente peggio della media globale, registrando un’anomalia della temperatura media di +1.58°C rispetto al valore globale di +1.23 C°, con nuovi record localizzati soprattutto nei contesti montuosi. Seppur in incremento, gli studi su clima e avifauna in aree montane rimango pochi. In generale, gli uccelli hanno una buona capacità nel rispondere alle fluttuazioni climatiche, ad esempio spostandosi latitudinalmente o altitudinalmente. Per le specie montane questo risulta particolarmente problematico perché, assieme alla temperatura, anche l’area abitabile decresce man mano che si sale di quota, rendendo queste popolazione ancora più isolate e quindi molto vulnerabili e soggette ad estinzioni (Figura 1).

Figura 1 – Le foreste di latifoglie, quelle di conifere, gli ambienti alpini, quelli sub-nivali e nivali sono ambienti la cui presenza ed estensione è determinata principalmente dal clima. I cambiamenti climatici stanno causando importanti alterazioni a questi biomi influenzandone l’estensione e la composizione. Ad esempio, l’innalzamento del limite degli alberi nelle zone alpine riduce l’estensione delle praterie alpine, la cui possibile risalita è limitata dalla la mancanza di substrati idonei. Allo stesso tempo, gli habitat del piano nivale stanno riducendo la loro estensione a causa dello scioglimento dei ghiacci e nevi perenni.

CAMBIAMENTI CLIMATICI E VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE ORNITICHE: COSA E’ SUCCESSO NEGLI ULTIMI 30 ANNI?

Gli effetti dei cambiamenti climatici su specie legate ad ambienti freddi sono generalmente considerati deleteri, ma gli studi che testano questa relazione nell’avifauna sono ancora pochi e rari soprattutto nel contesto alpino. Per colmare questa lacuna abbiamo verificato l’esistenza di una relazione tra variazione nell’areale di nidificazione di alcune specie in Italia negli ultimi 30 anni e la nicchia termale (ovvero il clima abitato dalle specie, misurato come temperatura media annuale dell’areale a scala europea) delle specie stesse.
Abbiamo considerato un gruppo di specie strettamente legate ai climi “freddi” delle montagne e un gruppo di specie molto simili ma presenti in climi più caldi e a quote generalmente più basse. Come si può vedere dalla Figura 2, specie legate ad ambienti freddi come la Pernice bianca, il Gallo cedrone, la Civetta capogrosso ed il Fringuello alpino hanno subito contrazioni di areale riproduttivo, rispetto a specie legate a climi più caldi come la Passera lagia o la Pernice rossa. Il principale effetto sulla variazione di areale risulta associato proprio alla nicchia termale delle specie: quelle che amano il freddo hanno generalmente subito una contrazione di areale, mentre quelle che occupano aree più calde sono generalmente andate incontro ad espansione. Questo indica chiaramente come il riscaldamento climatico stia influenzando profondamente la distribuzione delle specie ornitiche nel nostro Paese. Infine, sebbene l’effetto non sia particolarmente rilevante in termini statistici, le specie forestali mostrano tendenzialmente trend più favorevoli rispetto a quelle legate ad ambienti agricoli o d’alta quota.
 

Figura 2 – Relazione tra il trend di areale (variazione % di areale riproduttivo in Italia negli ultimi 30 anni, secondo i dati del reporting ai sensi della Direttiva Uccelli; Nardelli et al. 2015) e la temperatura media annuale dell’areale delle specie a livello Europeo. Il valore zero sull’asse verticale indica che non c’è stato cambiamento nel numero di aree riproduttive occupate negli ultimi 30 anni, mentre una percentuale positiva significa incremento e negativa perdita.

BIBLIOGRAFIA UTILE

Scritto da: Davide Scridel

Ecologo di formazione, ho conseguito nel 2019 un dottorato di ricerca sulla tematica dei cambiamenti climatici in contesti alpini presso l’Università degli Studi di Pavia e il MUSE. Ho trascorso 9 anni in Regno Unito, dove ho ottenuto una laurea triennale (Anglia Ruskin University) e specialistica (Imperial College London). Per quattro anni ho svolto mansioni come Conservation Scientist, Policy Officer e Field Surveyor presso la Royal Society for the Protection of Birds (RSPB), lavorando su diversi gruppi tassonomici (flora, invertebrati, uccelli) ed habitat sia in Scozia (brughiere ed habitat marino-costieri) che in Inghilterra (foreste, ambienti agricoli e zone umide). Attualmente sono assegnista post-doc presso l’University of British Columbia (Canada) - MUSE, per attività di ricerca inerenti agli impatti dei cambiamenti climatico-ambientali sull'avifauna dei sistemi montuosi nord americani ed europei.

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