Mattia Brambilla

Il fringuello alpino (Montifringilla nivalis), specie target della ricerca. Ph. Studio Pteryx

A cura di Mattia Brambilla e Severino Vitulano

Con l’arrivo dell’estate, riprendono anche le indagini in alta quota. I ricercatori del MUSE, in collaborazione con il Parco Nazionale dello Stelvio – settore lombardo e gli inanellatori di Studio Pteryx (S. Vitulano) hanno infatti ripreso le attività del progetto dedicato ai cambiamenti climatici e alla biologia ed ecologia del fringuello alpino.

Scopo della ricerca, supportata anche dal Comitato Scientifico del CAI, è quello di indagare l’ecologia e la demografia del fringuello alpino al fine di comprendere gli impatti dei cambiamenti climatici su questa specie (considerata un’affidabile indicatrice dei loro effetti) e sugli altri organismi con cui condivide gli ambienti d’alta quota.
Le conoscenze acquisite consentiranno di sviluppare azioni di conservazione orientate a compensare o mitigare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sul fringuello alpino e, idealmente, sulla biodiversità alpina più in generale.

 

Lo scorso 17 giugno è stato effettuato il primo controllo delle cassette nido localizzate presso i Passi Gavia (tra le province di Sondrio e Brescia), Umbrail (a confine con la Svizzera) e Stelvio (tra Valtellina e Val Venosta). Le occupazioni certe da parte dei fringuelli alpini sono state tre: una al Gavia (nido con 5 uova) e due a Passo Umbrail (due nidiate da 5 pulli ciascuna). I 10 pulli presenti in totale sono stati quindi inanellati. Secondo i protocolli autorizzati e nel massimo rispetto degli animali sono stati inoltre prelevati da due individui per ciascuna nidiata dei campioni di sangue, nell’ambito di uno studio genetico delle popolazioni europee di fringuello alpino a cura dell’Università di Oviedo.

Fasi dell’attività di campo: il controllo delle cassette nido (sx) e l’inanellamento dei pulli (dx). Ph. Studio Pteryx

 

Le interazioni tra specie in un clima che cambia

by Mattia Brambilla on

Le interazioni tra specie svolgono un ruolo cruciale nel determinare la presenza delle specie e le caratteristiche delle comunità biologiche. Comprendere queste interazioni è quindi fondamentale per prevedere correttamente la risposta delle specie ai cambiamenti climatici. La ricerca, condotta insieme a numerosi ricercatori provenienti da altre regioni dell’arco alpino e basata su migliaia di dati raccolti in Italia, Svizzera, Austria e Slovenia, ha studiato i fattori che determinano la distribuzione di quattro specie di uccelli legati agli ambienti forestali e con una diversa sensibilità al cambiamento climatico.

Picchio nero, civetta capogrosso, allocco e allocco degli Urali mostrano tra loro diverse relazioni interspecifiche, che vanno dalla facilitazione (i nidi di picchio nero sono riutilizzati da allocco e, soprattutto, civetta capogrosso), alla competizione (tra le due specie di allocco), alla predazione (da parte dell’allocco ai danni della civetta capogrosso, da parte dell’allocco degli Urali a danno degli altri due Strigidi). In questo lavoro abbiamo modellizzato la distribuzione potenziale delle quattro specie e testato “sul campo” se la distribuzione di quelle più diffuse (escludendo quindi l’allocco degli Urali) fosse o meno influenzata dalle interazioni interspecifiche. Abbiamo quindi modellizzato la distribuzione potenziale futura delle quattro specie, valutando se i cambiamenti climatici previsti influenzare la potenziale sovrapposizione tra le specie e quindi le interazioni tra di esse.

La copertura e la tipologia forestale sono risultate importanti nel determinare l’idoneità ambientale per tutte le quattro specie; i parametri climatici hanno invece mostrato importanza variabile a seconda delle specie (massima per la civetta capogrosso). Modelli che valutano l’effetto delle caratteristiche ambientali (inclusa la presenza di altre specie) sull’abbondanza delle specie target, tenendo conto allo stesso tempo delle variazioni nella contattabilità, hanno confermato l’importanza delle interazioni interspecifiche, soprattutto per la civetta capogrosso (con effetto positivo del picchio nero e negativo dell’allocco).

I cambiamenti climatici avranno impatti su questo gruppo di specie forestali sia a livello di singole specie che nell’insieme, dal momento che le potenziali aree di sovrapposizione, cruciali per le interazioni tra specie, andranno incontro a importanti variazioni nei prossimi decenni. La civetta capogrosso in particolare, la specie più sensibile al cambiamento climatico, andrà incontro ad una riduzione di areale (-65% nello scenario peggiore) causata soprattutto dall’aumento delle temperature; in aggiunta, la sovrapposizione di areale con l’allocco, suo principale predatore, aumenterà decisamente nell’areale residuo della specie: i cambiamenti climatici avranno quindi un impatto sulla civetta capogrosso sia diretto che indiretto, attraverso il verosimile aumento della predazione da parte dell’allocco.

 

I cambiamenti climatici causeranno una profonda alterazione spaziale delle dinamiche di interazione, con conseguenze differenti per le varie specie appartenenti alla guild, e un generale aumento, in termini spaziali, dei processi di competizione e/o predazione (come schematicamente riassunto nella figura tratta dall’articolo e sopra riportata). Questo lavoro mostra l’importanza delle interazioni interspecifiche e come esse saranno stravolte dal cambiamento climatico, rafforzando ulteriormente la necessità di includere tali interazioni nei modelli previsionali per incrementarne l’accuratezza.

Articolo di riferimento:
Brambilla, M., Scridel, D., Bazzi, G., Ilahiane, L., Iemma, A., Pedrini, P., Bassi, E., Bionda, R., Marchesi, L., Genero, F., Teufelbauer, N., Probst, R., Vrezec, A., Kmecl, P., Mihelič, T., Bogliani, G., Schmid, H., Assandri, G., Pontarini, R., Braunisch, V., Arlettaz, R., Chamberlain, D., 2020. Species interactions and climate change: How the disruption of species co‐occurrence will impact on an avian forest guild. Glob. Chang. Biol. gcb.14953. https://doi.org/10.1111/gcb.14953

Finché c’è neve…c’è speranza!

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I viaggi di foraggiamento nel fringuello alpino

Le nostre conoscenze sull’ecologia dell’avifauna alpina si arricchiscono di un nuovo, prezioso tassello. Un recente lavoro svolto dai ricercatori della sezione, in collaborazione con colleghi di altre istituzioni italiane, ha indagato per la prima volta i fattori ecologici che determinano le caratteristiche dei viaggi di foraggiamento nel fringuello alpino (Montifringilla nivalis) sulle Alpi centrali.

Si tratta di uno dei pochissimi studi che hanno valutato in maniera quantitativa l’argomento per quanto riguarda le specie d’alta quota. I viaggi alla ricerca del cibo per i pulcini sono un aspetto chiave dell’ecologia delle specie ornitiche (e non solo) e comprendere i meccanismi che li regolano può aiutare a capire meglio l’ecologia riproduttiva di una specie, anche per quanto riguarda le potenziali implicazioni per la sua conservazione. Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Ornis Fennica, ha riguardato i fattori stagionali, meteorologici, ambientali e sociali e il loro effetto sulla distanza e sulla durata di 309 viaggi di foraggiamento compiuti da adulti (appartenenti a 35 coppie) durante l’allevamento dei nidiacei, nel biennio 2015-2016.
I viaggi hanno avuto una durata media di 6.12 minuti e una lunghezza media di 175 m (distanza dal nido). Durata e lunghezza appaiono naturalmente correlate tra loro, ma la durata dei viaggi risulta influenzata anche dal vento, che comporta più tempo per il reperimento del cibo, e dalla neve. I viaggi di foraggiamento durano infatti di più quando gli adulti frequentano punti con copertura parziale di neve (es. margini di chiazze nevose).

Similmente, la lunghezza dei viaggi risulta anch’essa maggiore in corrispondenza di visita a siti con parziale copertura nevosa. Il fatto che gli adulti spendano più tempo e coprano maggiori distanze per raggiungere aree con copertura intermedia di neve suggerisce che i margini delle chiazze nevose siano utilizzati per raccogliere prede anche per sé stessi, oppure per raccoglierne un maggior numero da portare al nido. Questo appare pienamente coerente con i risultati degli studi precedenti, che dimostrano come i margini delle chiazze di neve siano un ambiente cruciale per il foraggiamento della specie. Con la riduzione della copertura nevosa durante la stagione riproduttiva della specie, attesa a causa del riscaldamento climatico, è possibile prevedere effetti molto severi sulle dinamiche di foraggiamento della specie. Conservare ambienti idonei alla cattura delle prede (es. praterie alpine con erba bassa) nei dintorni dei nidi sarà cruciale per contenere gli impatti negativi.