Ambito Biologia della Conservazione

Il raro chirottero è stato rinvenuto martedì 26 gennaio 2021 nella piazza di Piedicastello a Trento. Si tratta di una delle poche osservazioni trentine: in provincia non si conoscono infatti dormitori o colonie di questo particolare mammifero.

Irzio Maiolini, 7 anni, non credeva ai suoi occhi quando, la mattina di martedì 26 gennaio 2021, sulla neve del centro di Piedicastello, ha rinvenuto morto, presumibilmente assiderato in conseguenza delle temperature notturne molto basse, un grosso pipistrello dall’aspetto inconsueto: grigio scuro, con grandi orecchie tondeggianti rivolte in avanti, muso con labbra superiori mollemente ricadenti in pliche su quelle inferiori come in un improbabile bull-dog francese, e lunga coda libera e sporgente all’indietro.
È bastata una rapida consultazione con la Sezione Zoologia dei Vertebrati del Museo delle Scienze (il papà di Irzio, Carlo, lavora al MUSE dove fa parte del gruppo di Citizen Science) per capire che si trattava di un ritrovamento singolare: un esemplare adulto del molosso di Cestoni, Tadarida teniotis, una delle specie di Chirotteri meno note del Trentino, probabilmente deceduto a causa del freddo pungente dopo aver abbandonato una soffitta o un qualche anfratto in un edificio storico dove stava ibernando.

L’esemplare rinvenuto a Piedicastello

Il “molosso” (descritto come specie all’inizio dell’Ottocento da un biologo statunitense che lo dedicò alla memoria del naturalista marchigiano del Seicento Diacinto Cestoni) è un pipistrello presente nell’Europa mediterranea, in Africa settentrionale e in vaste zone dell’Asia centrale, abitualmente legato ad ambienti rupestri, come falesie affacciate sul mare o pareti rocciose in vallate montane; in tempi recenti si sono intensificate anche le segnalazioni in ambiente urbano, soprattutto ai piani alti delle vecchie case dei centri storici.
La specie ha preferenze rupicole sia in periodo riproduttivo (quando viene dato alla luce un solo piccolo all’anno, tra giugno e luglio), sia nella scelta dei siti di svernamento, dove passa i mesi freddi in una condizione che, più che una vera letargia, è un profondo torpore, da cui è indotto al risveglio dal miglioramento anche temporaneo delle condizioni meteoclimatiche.

In Trentino, però, spiegano gli esperti del MUSE, il molosso di Cestoni è poco più di un fantasma. Le informazioni su distribuzione e abbondanza sono ancora lacunose.

Il Molosso di Cestoni nell’Atlante dei Mammiferi della provincia di Trento.

«Le notizie riguardanti la presenza della specie in Trentino – confermano dal Museo delle Scienze – sono molto scarse e frammentarie: finora non è stato scoperto alcun dormitorio o colonia riproduttiva di questi animali, né sono noti siti stabilmente utilizzati per svernare.
Eccezione fatta per qualche esemplare catturato occasionalmente durante l’attività autunnale di monitoraggio della migrazione degli uccelli e inanellamento a scopo scientifico ai valichi del Caset e del Brocon (presumibilmente in migrazione post-riproduttiva “verticale” da territori montani verso aree invernali più a bassa quota), le segnalazioni nella nostra provincia superano a malapena la decina.
Il nostro sfortunato “mastino con le ali”, perito in una notte di mezzo inverno, ci lascia dunque un prezioso dato di presenza svernante, per di più in contesto urbano, dove di questa specie si sa ancor meno
».

Da qui si intuisce l’importanza della Citizen Science, l’insieme di pratiche che coinvolgono i cittadini nella costruzione del sapere scientifico. Un processo partecipativo che il MUSE, dal 2019 membro di ECSA (Associazione Europea di Citizen Science), sta sviluppando con un portfolio coordinato di attività dedicate, nell’ottica di costruire sia in campo educativo che sociale una scienza intesa come bene comune, democratica, aperta e accessibile a tutti.

Chi avesse segnalazioni legate ai pipistrelli o volesse semplicemente saperne di più su come comportarsi in caso di osservazioni o ritrovamenti, può rivolgersi agli esperti del MUSE attraverso il progetto di Citizen Science “S.O.S Pipistrelli”.
A questo proposito si coglie l’occasione per specificare che le specie di chirotteri presenti in Italia non corrispondono alle stesse segnalate in Cina come potenziali responsabili della trasmissione del coronavirus. La loro presenza non deve quindi destare paure ingiustificate. Anzi, questi animali, preziosi bioindicatori, segnalano un buon livello di salute ambientale.

Prosegue, inoltre, l’attività del gruppo Facebook “Citizen Science MUSE”, che ha da pochi giorni superato i mille iscritti: un luogo virtuale dove poter richiedere l’aiuto degli esperti del MUSE per tutti i dubbi identificativi relativi a minerali, rocce, fossili, piante e animali.

Immagini: Osvaldo Negra, Carlo Maiolini, Paolo Paolucci

Con questo post, condividiamo il comunicato realizzato dal CISO – Centro Italiano Studi Ornitologici in vista dei festeggiamenti per il Capodanno 2021.

Abbiamo tutti una gran voglia di “ammazzare” questo anno, il 2020, che ci ha cambiato la vita, ci ha tolto persone care o ha portato via ad altri persone a noi sconosciute. Ma con i botti non otterremo niente di buono. Il solito “bombardamento” farà scappare nel buio gli animali in grado di volar via e li manderà molto probabilmente incontro a rischi gravi; quelli che non riusciranno a fuggire potranno subire traumi gravi e, talvolta, morire.
Ricerche scientifiche condotte recentemente ne hanno fornito prove evidenti (per approfondire, clicca qui).

I fuochi d’artificio e i botti vengono spesso considerati un elemento indispensabile per i festeggiamenti di fine anno. Se da un lato sono amati dal pubblico, dall’altro, quando incontrollati, sono soggetti a numerose problematiche, che vanno dal rischio di incidenti e di incendi, all’emissione di particolato fine e sostanze pericolose per la salute, all’inquinamento acustico, al disturbo degli animali d’affezione e selvatici.

Ph. Mikhail Vasilyev

Tuttavia, gli effetti degli artifici pirotecnici sulla fauna vengono quasi sempre ignorati e sono generalmente poco noti al pubblico. È opinione comune, infatti che gli animali selvatici vivano il più possibile lontano dall’uomo; in realtà sono molte le specie che, nei secoli, si sono adattate a vivere all’interno o nei pressi dei centri urbani, dove trovano cibo e riparo dai predatori. Gli uccelli, in particolare, vedono nelle città importanti habitat di nidificazione e svernamento. Giardini privati e pubblici accolgono numeri considerevoli di passeri, fringuelli, merli, tortore dal collare, pettirossi, cince e molte altre specie, che vi trascorrono le giornate o li utilizzano come “dormitori”. Qualunque rumore forte e improvviso, soprattutto durante le ore notturne, può avere un forte impatto su questi animali.

Ph. Tiia Monto

Gli studi realizzati finora indicano chiaramente quale sia l’effetto degli artifici pirotecnici sulla fauna; ad esempio, una ricerca condotta con l’ausilio dei radar ha dimostrato che gli uccelli si involano in massa a seguito dell’esplosione di fuochi d’artificio, dirigendosi, nel cuore della notte, a molti km dai luoghi di riposo. Gli animali, disorientati dal rumore, dalle luci e dal fumo, nel tentativo di fuggire consumano importanti energie e vanno incontro a forte stress, collisioni con edifici, cavi e automobili e condizioni metereologiche inclementi; tutti questi fattori possono causare la morte degli individui o, nei casi meno gravi, avere effetti duraturi sulla salute degli uccelli o provocare la frammentazione degli stormi.

Il CISO, che da molti anni si occupa di ricerca ornitologica e conservazione della natura, chiede pertanto a tutti i Sindaci di prendere provvedimenti concreti per contrastare questo grave fenomeno e, al contempo, proteggere la salute e la sicurezza dei cittadini, emanando ordinanze di limitazione o divieto di accensione degli articoli pirotecnici in occasione del Capodanno. Nella speranza che questo appello a tutela dei più deboli venga accolto, cogliamo l’occasione per porgere i nostri migliori auguri di buone feste e di un sereno Anno Nuovo, all’insegna della Natura.

A cura di Mattia Brambilla e Paolo Pedrini

In tutto il mondo, le zone umide rappresentano uno degli ambienti più importanti per la biodiversità e per i servizi che offrono all’uomo ma, al tempo stesso, anche uno di quelli più a rischio, con secoli di bonifiche, inquinamento e regimazioni che ne hanno stravolto il “naturale funzionamento”. Negli ultimi decenni, molte aree protette sono state istituite per preservare quanto rimasto di questi preziosissimi ecosistemi; tuttavia, l’efficacia di questo regime di tutela è stata raramente valutata per le zone umide. Un recente studio condotto dalla nostra sezione, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Biological Conservation, ha valutato l’effetto di 30 anni di protezione delle zone umide in Trentino sull’avifauna acquatica: gli uccelli rappresentano infatti un ottimo bioindicatore, fornendo importanti informazioni sullo stato di salute degli ambienti e su come migliorare le azioni di conservazione e di gestione ambientale. I risultati, elaborati a partire dall’analisi dei monitoraggi ornitologici condotti tra il 1989 e il 2019, hanno permesso di valutare l’efficacia dei primi 30 anni di protezione degli ultimi lembi di zone umide nelle vallate alpine del Trentino (i Biotopi provinciali, L.P. 14/1986, oggi denominate Riserve Naturali, L.P. 11/2007).

Dalle analisi emerge un quadro articolato: durante questi tre decenni, il 43% delle specie censite è andato incontro ad espansione, mentre il 26% ha visto ridursi la propria distribuzione nelle 26 zone umide protette considerate. La creazione di questo sistema di aree protette ha permesso di salvare gli ultimi preziosi “scampoli” di zone umide naturali del territorio provinciale e di favorire il ritorno o l’espansione, come anche l’insediamento, di specie un tempo localizzate o che addirittura non nidificavano sul territorio provinciale, come airone cenerino, cormorano, svasso maggiore.
A questi risvolti positivi ha sicuramente contribuito anche l’incremento generale del livello di tutela diretta, soprattutto per quanto riguarda il divieto di caccia valido per molte delle specie considerate. Tuttavia, vi sono anche aspetti meno positivi e che richiedono alcune correzioni di rotta. Quel 26% di specie che appaiono in contrazione, infatti, non lo sono per caso. Se consideriamo il livello di specializzazione ecologica delle specie analizzate, ovvero il loro legame con particolari habitat, possiamo infatti notare come quelle in espansione siano prevalentemente le specie in grado di adattarsi ad habitat piuttosto diversi tra loro, sebbene comunque legati a laghi, fiumi e paludi. Altre specie, come il cannareccione o il migliarino di palude o come gli ormai pochi rallidi dei prati umidi, con esigenze molto più specifiche, appaiono in regresso all’interno della rete di aree protette.

Alcune delle specie considerate nello studio (da sx a dx): migliarino di palude, tarabusino e moretta. Ph. Mauro Mendini e Carlo Frapporti.

Le specie in espansione sono quindi in larga parte specie comuni, con andamento di popolazione generalmente favorevole anche in Italia e in Europa, come folaga, germano reale, airone cenerino, svasso maggiore, tuffetto, mentre quelle in contrazione in Trentino sono specie che hanno uno stato di conservazione sfavorevole anche a livello nazionale, come cannareccione, migliarino di palude e corriere piccolo. Queste differenze suggeriscono che la conservazione di zone umide isolate tra loro e prive di un programma di gestione degli habitat ad ampia scala e specificatamente orientato verso le esigenze dell’avifauna, non è sufficiente a preservare le specie più esigenti e legate a particolari habitat.

Trent’anni di conservazione a livello provinciale hanno di certo impedito la scomparsa di un patrimonio ambientale di grandissimo valore e aumentato l’attenzione nei confronti di questi ambienti naturali, un tempo poco considerati. Se vogliamo proseguire con successo, dobbiamo estendere le nostre attenzioni anche al di fuori dei confini delle aree protette, riqualificando o ripristinando le aree degradate o bonificate ai margini di terreni coltivati, ricreando canneti lungo le rive di laghi e fiumi principali, ampliando la rete di fossi e canali, per migliorare così la connettività ecologica fra i tanti piccoli ambienti residuali, come le zone umide, utile alla conservazione degli “specialisti” ma anche ad una più generale riqualificazione ambientale del paesaggio delle nostre vallate a forte fruizione antropica.
Queste considerazioni non valgono solo per il Trentino, possono essere estese a gran parte d’Italia e d’Europa, dove le zone umide sono ambienti residuali, spesso di piccole dimensioni e isolati tra loro. Per una buona “fetta” di specie, oltre a tutelare le aree residue, è necessario riqualificare e ricollegare questi ambienti. La corretta conservazione delle zone umide deve essere ai primi posti nelle priorità di intervento per chi si occupa di conservazione della natura, per il loro valore ineguagliabile in termini di biodiversità e di servizi ecosistemici.

Il presente lavoro si inserisce nell’ambito dell’attività di monitoraggio delle zone umide coordinata dal Servizio Sviluppo Sostenibile e Aree Protette della PAT. Oltre agli autori dell’articolo, hanno contribuito al lavoro gli ornitologici della Sezione (A. Micheli, E. Osele, G. Speranza, L. Marchesi, , L. Uber,  M. Segata, S. Nicolodi). Ha collaborato al riordino e alla gestione del dataset P. Lorenzo Sanchez della Sezione.

Germano reale. Ph. Osvaldo Negra/Arch. MUSE