Agricoltura e biodiversità

Un annoso limite della biologia della conservazione, stigmatizzato nel 2007 da un celebre editoriale su Nature [1], è che i ricercatori spesso, arrivati a comprendere i meccanismi che determinano la diminuzione di una specie o il deterioramento di un habitat, lì si fermano, perdendo l’occasione di provare a colmare il grande divario che esiste tra conoscenza e azione, tra teoria e pratica.

Uno dei gruppi di biologia della conservazione più attivo a livello europeo, quello dell’Università di Berna, nel 2010 ha indicato quali devono essere i passaggi “extra” richiesti al biologo della conservazione per considerare concluso il suo lavoro, dopo aver pubblicato la sua ricerca, e dopo aver quindi compreso i meccanismi alla base della problematica conservazionistica. Secondo questi ricercatori i risultati devono essere divulgati agli stakeholders (i), devono essere adottate delle azioni fattive dirette alla conservazione (ii) e queste devono essere testate per valutare che siano valide (iii). Se lo sono, lo step finale deve essere la definizione di politiche che normino la corretta gestione del problema (iv) [2].

Il Dottorato di Ricerca La conservazione della biodiversità nelle coltivazioni permanenti e negli ambienti prativi [3] ha permesso alla Sezione di Zoologia dei Vertebrati di arrivare a una buona comprensione dei fattori che regolano presenza, abbondanza, diversità e successo riproduttivo degli uccelli nei vigneti del Trentino e ciò ha posto in evidenza numerose emergenze, ma anche opportunità, legate alla conservazione dell’avifauna in questi sistemi agricoli intensivi.

Proprio per questo motivo ci è sembrato doveroso intraprendere il percorso delineato dai colleghi svizzeri, che speriamo ci porti presto a colmare il divario tra conoscenza e azione, così da aumentare la sostenibilità del sistema vigneto.

La strada tracciata dal gruppo di Berna individua come primo punto di questo percorso lo sforzo di rendere fruibile ai potenziali interessati i risultati salienti della ricerca.

Per far ciò abbiamo lavorato in sinergia con l’Unità Viticoltura del Centro di trasferimento tecnologico della Fondazione «E. Mach» di San Michele all’Adige, arrivando alla definizione di un decalogo di buone pratiche per conservare e favorire la biodiversità nei vigneti, che è stato pubblicato sul supplemento Viti e Vino della rivista tecnica L’Informatore Agrario, fra le più lette da agricoltori, tecnici agronomi o da chiunque sia interessato al settore primario in Italia.

Nel box che segue riportiamo questo decalogo, i cui suggerimenti possono essere utili a chiunque abbia a che fare con i vigneti e la viticoltura in Trentino, ma anche altrove.

 

Buone pratiche per favorire gli uccelli e la biodiversità nei vigneti (mod. da Assandri et al., 2017. Importanza degli uccelli per la biodiversità del vigneto. Viti e Vino, supplemento a L’Informatore Agrario, 27: 19-22)

Il decalogo che segue è stato predisposto su due livelli: buone pratiche a livello di paesaggio agricolo e a livello di vigneto. Questa scelta si è resa necessaria perché la dimensione media dell’azienda viticola in Trentino è inferiore all’ettaro. Di conseguenza alcune pratiche potrebbero essere sostenibili solo attraverso forme di aggregazione/cooperazione tra agricoltori o coinvolgendo soggetti terzi (ad esempio cantine sociali, consorzi di produttori, enti pubblici, ecc.). Al contrario, alcune altre riguardano la gestione diretta del singolo vigneto oppure richiedono un minimo sforzo in termini economici o di impegno, pertanto potrebbero essere adottate dal singolo.

Nel paesaggio agricolo

1. Mantenimento dell’eterogeneità ambientale
Nella monocultura intensiva a vigneto, la conservazione di ambienti naturali residui (boschetti, fasce incolte, piccole zone umide, ecc.) è il fattore che influisce in maniera più netta e positiva sugli uccelli. Idealmente, mantenere almeno il 15-20% di questi ambienti per ettaro avrebbe ricadute positive sull’avifauna.
In minor misura, anche la diversificazione delle tipologie colturali (prati, orti e piccoli frutteti, altre tipologie di coltivi, oltre al vigneto) può avere ricadute positive importanti.
Laddove l’eterogeneità ambientale è andata persa può essere molto difficile ricrearla, ma dove si è mantenuta, è importante conservarla, considerando anche le possibili ricadute turistiche e sociali che questo potrebbe comportare.

2. Mantenimento e piantumazione di siepi e filari di alberi
Nei vigneti trentini garantire un minimo di 30 m (ma auspicabilmente almeno 50 m) di siepi o filari alberati per ettaro favorisce gli uccelli e pertanto sarebbe buona pratica conservare questi elementi paesaggistici. Molte aree trentine hanno densità di siepi e filari ben al di sotto di questo valore (nelle aree più intensive anche meno di 18 m/ha) e quindi la messa a dimora di nuove siepi e filari sarebbe da incentivare. Per le piantumazioni sarebbero da favorire specie vegetali autoctone del Trentino e possibilmente produttrici di bacche (es. biancospino, sanguinello, rosa canina, viburno, sambuco, ecc.).
Le siepi sono alleate degli agricoltori perché difendono il vigneto dalla deriva degli aerosol dei trattamenti. Questa questione è cruciale anche considerando aspetti di salute pubblica ed è un tema sempre più sentito dai cittadini.
Ancor più che in altri casi, le siepi e i filari richiedono una pianificazione a livello di sistema, ricreandoli ad esempio lungo corsi d’acqua, strade e altre infrastrutture, o nei dintorni di centri abitati.

 

Siepi e filari alberati sono un importante elemento di discontinuità nella matrice agricola intensiva. Vallagarina (TN).

3. Favorire la pergola
Le due forme di allevamento della vite più frequenti in Trentino sono la Pergola (80% circa) e la Spalliera. La prima è molto legata alla tradizione locale, costituisce anche un elemento tipico del paesaggio ed è la più favorevole per gli uccelli, in particolare per le maggiori opportunità di nidificazione che offre a molte specie.

4. Corretta gestione di canali e fossi di irrigazione
In alcune aree del Trentino (es. Piana Rotaliana) sono presenti complessi sistemi di canali e fossi di irrigazione che ospitano una ricca biodiversità acquatica, in aree dove le zone umide naturali sono sostanzialmente scomparse.
La gestione attuale della vegetazione in questi fossi è talvolta incompatibile con le esigenze delle specie selvatiche, in quanto sono sistematicamente eliminate tutte le piante acquatiche flottanti (es. piantaggine d’acqua) e spondali (es. cannucce palustri) presenti negli stessi. Laddove questa pratica non possa essere evitata, sarebbe auspicabile che fosse effettuata tra ottobre e febbraio, non andando a interferire con la riproduzione primaverile-estiva dei molti animali che vivono in questo ambiente.

Nel vigneto

5. Mantenimento di elementi tradizionali
Alberi isolati (es. salici da fascine, gelsi, ciliegi e altri alberi da frutta), edifici rurali isolati (i baiti, come sono chiamati in Trentino) e muretti a secco favoriscono gli uccelli principalmente perché offrono potenziali siti di nidificazione, soprattutto a quelle specie che utilizzano cavità (es. civetta, assiolo, codirosso, torcicollo, upupa, cinciallegra, cinciarella, etc.). Per questo motivo, e per il valore estetico che conferiscono al paesaggio, sarebbe fondamentale mantenerli e recuperarli.
È da notare che i muretti cementati invece non hanno lo stesso effetto positivo, essendo molto più poveri di cavità.

Paesaggio vitato ancora relativamente ricco di elementi tradizionali quali siepi, alberi e cespugli isolati, muretti a secco, edifici in pietra e vasconi di raccolta dell’acqua. Giovo, Val di Cembra.

6. Come comportarsi se si trova un nido in vigneto
Alcune specie di uccelli si sono adattate a nidificare nei vigneti, costruendo il loro nido sulle viti o sui sostegni; quindi non è inconsueto trovare in campagna nidi di alcune specie che costruiscono i classici nidi a coppa. Essi devono essere lasciati al loro posto e disturbati il meno possibile, compatibilmente con l’attività agricola.
Gli uccelli che nidificano nei vigneti durante la stagione riproduttiva (cioè in primavera-estate) si nutrono di insetti e allevano i loro pulcini portando questo tipo di prede, che hanno un importante contenuto proteico, fondamentale per il loro accrescimento. Grazie a queste loro necessità trofiche, svolgono un ruolo di “biocontrollori” (quindi non danneggiano l’uva) predando anche insetti nocivi per la vite stessa.
Anche specie come il tordo bottaccio, il merlo, lo storno e la passera mattugia, comunemente ritenuti dannosi per l’uva, sono prevalentemente insettivori durante la nidificazione. I danni all’uva sono arrecati a nidificazione conclusa (in tarda estate), nella fase della maturazione dei grappoli, quando gli uccelli non sono più legati da tempo al loro luogo riproduttivo. Pertanto rimuovere i nidi in primavera per ridurre eventuali danni, non avrebbe alcuna efficacia di sorta (oltre a essere vietato dalla legge), poiché gli individui presenti a fine estate in molti casi non sono gli stessi che hanno nidificato in primavera. Piuttosto va notato come in estate molte specie che si nutrono di frutti, una volta terminata la riproduzione, preferiscano frutti come il sambuco e più avanti il corniolo, il prugnolo e il biancospino e altre rosacee, in quanto fonte di zuccheri utili nella fase dell’ingrassamento post-riproduttivo. In presenza di siepi tendono quindi a preferire i frutti delle specie vegetali spontanee all’uva.

7. Cassette nido
Apporre nel proprio vigneto una (o alcune, ma non più di tre per ettaro e preferibilmente di diversa dimensione) cassette nido per uccelli (e anche per pipistrelli), oltre che favorire in modo efficace la biodiversità, può avere un effetto positivo per l’agricoltore, in quanto tutti gli uccelli che le occupano sono insettivori (come i pipistrelli) e possono contribuire a limitare gli insetti nocivi.
Questa pratica è importantissima e altamente raccomandabile nelle aree più intensive e prive di ambienti marginali ed elementi tradizionali, dove le possibilità di nidificazione per molte specie che si riproducono in cavità sono drasticamente ridotte.

8. Taglio dell’erba
I vigneti trentini sono in gran parte inerbiti in tutto il corso dell’anno. L’erba è essa stessa biodiversità floristica e allo stesso tempo favorisce sia gli insetti e altri piccoli animali, sia gli uccelli.
Consigliamo di ridurre quindi all’indispensabile i tagli e di evitarli ove possibile nel periodo aprile-giugno.
Allo stesso tempo va rilevato come proprio la presenza di un prato con erba bassa sia uno dei principali motivi di presenza di alcune specie che si nutrono a terra.
Considerando quindi anche le esigenze di taglio per motivi fitosanitari, durante questa attività è auspicabile che il vigneto non sia tagliato tutto “a raso”, ma che siano mantenute delle “isole” di erba alta. Alcune di queste isole dovrebbero essere mantenute per più anni ed essere sfalciate al massimo una volta all’anno in autunno-inverno. Queste isole possono essere ricavate in aree marginali non produttive del vigneto (es. margini, rampe d’ingresso, dintorni dei casotti per gli attrezzi).

L’alternanza di erba alta e bassa nel vigneto, garantita da uno sfalcio parziale, favorisce la biodiversità e in particolare quegli uccelli insettivori che si nutrono a terra. Vezzano, Valle dei Laghi (TN)

9. Frequenza degli ingressi nei vigneti
Il disturbo dovuto alle pratiche agricole ha effetti negativi, dimostrati in particolare nelle prime fasi della riproduzione degli uccelli; di conseguenza, compatibilmente con le ovvie esigenze agricole, sarebbe auspicabile ridurlo al minimo soprattutto tra marzo e maggio. Fortemente impattante è anche il trattamento notturno, poiché la gran parte delle specie che nidificano nei vigneti sono diurne e sono quindi spesso impossibilitate a tornare rapidamente al proprio nido dopo la cessazione del disturbo, mettendo a grave repentaglio il successo della nidificazione.

10. Vasche per il verderame e raccolta d’acqua a scopo irriguo
In molti vigneti si trovano ancora antichi vasconi, utilizzati un tempo per la preparazione del verderame da irrorare sulle viti o quali riserve d’acqua per irrigare e per conservare i rami di salice utilizzati per legare i tralci delle viti. Con le moderne tecniche agronomiche queste strutture sono oggi spesso inutilizzate e abbandonate e col tempo finiscono per essere distrutte o interrate. Il loro mantenimento e recupero a fini naturalistici (riempendole d’acqua e adattandole con minimi accorgimenti che consentano l’utilizzo da parte della fauna), oltre a essere esteticamente piacevole, può favorire la presenza di numerosi piccoli animali legati agli ambienti acquatici, come l’ululone dal ventre giallo, un piccolo rospo di grande interesse naturalistico e tutelato anche a livello europeo dalle direttive comunitarie.

Ringraziamenti – Si ringraziano i colleghi dell’Unità Viticoltura del Centro di trasferimento tecnologico
Della Fondazione «E. Mach», in particolare F. Ghidoni, F. Penner, M. Bottura, M. Venturelli, C. Ioriatti.

Fonti citate
1. Anon. The great divide. Nature. 2007;450: 135–136.
2. Arlettaz R, Schaub M, Jérome F, Reichlin TS, Sierro A, Watson JEM, et al. From publications to public actions: when conservation biologist bridge the gap between research and implementation. Bioscience. 2010;60: 835–842.
3. Assandri G. Biodiversity conservation in permanent crops and grasslands. Università degli Studi di Pavia. 2016.

I biologi della conservazione identificano le “specie bandiera” (flagship species) con quelle specie carismatiche che affascinano e coinvolgono il grande pubblico, e quindi possono essere utilizzate come simbolo per ispirare azioni di conservazione in senso più ampio, cioè a livello di comunità, ecosistema o addirittura bioma. Classiche “bandiere della conservazione” sono i grandi mammiferi minacciati, come il panda, la tigre o il bisonte europeo.

Le specie bandiera quindi possono essere utilizzate come leva per la tutela di biotopi e ambienti, ma come è possibile utilizzare una o più specie bandiera in quelle aree del mondo dove i grandi animali carismatici non ci sono più da tempo?

Tipicamente, queste aree coincidono con quelle in cui i cambiamenti ambientali causati dall’uomo sono più evidenti e hanno comportato una forte perdita di biodiversità. Un classico esempio a livello europeo è rappresentato dalle aree coltivate. Gli agroecosistemi, infatti, sono spesso percepiti come privi di specie di interesse naturalistico, anche se nel Vecchio Continente una porzione consistente di biodiversità sopravvive in aree dedicate all’agricoltura.

In questi ambienti, anche in quelli più intensivi, conservare la biodiversità è una priorità per realizzare la sostenibilità, che è una condizione sempre più richiesta anche dai consumatori.

Una strada possibile per raggiungere questo obiettivo è quella delle specie bandiera “non tradizionali”, una definizione proposta nel 2000 dalla biologa della conservazione Abigail Entwistle [1], che ha avuto purtroppo scarsa applicazione in seguito, almeno stando alla letteratura di settore. L’idea di fondo è però semplice ed efficace: quasi qualsiasi specie, se adeguatamente presentata ai cittadini e fatta conoscere, può funzionare da bandiera per la conservazione!

Con questo obiettivo, nel nostro recente lavoro pubblicato sulla rivista Ecological Indicators [2], abbiamo valutato le esigenze ecologiche di due specie di uccelli, il codirosso comune Phoenicurus phoenicurus e il pigliamosche Muscicapa striata nei vigneti, una coltivazione dall’elevato valore economico e in espansione in Trentino come nel resto d’Europa.

Queste due specie hanno alcune caratteristiche rilevanti: sono presenti diffusamente nei vigneti, sono appariscenti o per colorazione (il codirosso comune) o per comportamento (il pigliamosche) e sono quindi facili da osservare e soprattutto sono insettivore, quindi possono essere utili alleate dei viticoltori per tenere sotto controllo gli insetti dannosi per le coltivazioni.

La ricerca condotta ha permesso di evidenziare che il pigliamosche è più abbondante nei vigneti tradizionali a pergola (anche intensivi), mentre tende a evitare le piantagioni a spalliera o troppo giovani, che non sono sufficientemente strutturate per ospitarne il nido. Il codirosso comune tende invece a selezionare i settori di versante, che presentano una viticoltura meno intensiva e conservano alcuni elementi agricoli tradizionali, come siepi, filari, muretti a secco e piccoli edifici rurali isolati, che la specie -che necessita di cavità per costruire il nido- apprezza.

In due lavori precedenti sugli uccelli dei vigneti trentini, avevamo già mostrato come questi stessi elementi che favoriscono codirosso e pigliamosche siano importanti anche per avere comunità di uccelli più ricche e diversificate e favoriscano l’abbondanza delle specie più comuni che si trovano in questi ambienti [3,4].

Sulla base di queste evidenze, nell’articolo recentemente pubblicato, proponiamo il pigliamosche e il codirosso comune come ideali specie bandiera non tradizionali nei vigneti trentini, in particolare la prima nei paesaggi viticoli più intensivi del fondovalle, mentre la seconda in quelli più estensivi di versante.

Fonti citate:

  1. Entwistle A. Flagship for the future. Oryx. 2000;34: 239–240.
  2. Assandri G, Bogliani G, Pedrini P, Brambilla M. Insectivorous birds as “non-traditional” flagship species in vineyards: Applying a neglected conservation paradigm to agricultural systems. Ecol Indic.; 2017;80: 275–285. Link all’articolo sul sito della rivista
  3. Assandri G, Bogliani G, Pedrini P, Brambilla M. Diversity in the monotony? Habitat traits and management practices shape avian communities in intensive vineyards. Agric Ecosyst Environ. ; 2016;223: 250–260.
  4. Assandri G, Bogliani G, Pedrini P, Brambilla M. Assessing common birds’ ecological requirements to address nature conservation in permanent crops: Lessons from Italian vineyards. J Environ Manage. 2017;191: 145–154.

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Quest’anno la Sezione di Zoologia dei Vertebrati lavorerà sui prati stabili

Il 12 maggio è ricominciata l’attività di campo della Sezione per il progetto di ricerca “Agricoltura e Biodiversità”. Questa primavera i ricercatori della sezione sono impegnati nell’attività di censimento dell’avifauna dei prati stabili del Trentino in 60 aree campione distribuite in tutte le principali aree a prato della provincia. Il progetto si inquadra nelle attività di monitoraggio previste nell’ambito della Rete Natura 2000, che la Sezione svolge in sinergia con P.A.T.

I prati stabili sono ambienti artificiali, caratterizzati da vegetazione erbacea e mantenuti dalla pratica dello sfalcio. Diversamente dai pascoli, non ospitano mai direttamente bestiame, ma sono comunque un tassello fondamentale della zootecnia alpina, dal momento che sono il luogo dove si produce il foraggio con cui sono nutriti gli animali al di fuori del periodo di alpeggio.

I prati stabili caratterizzano alcuni dei paesaggi culturali più rappresentativi delle Alpi e costituiscono uno degli habitat a più elevata biodiversità a scala Europea. Il Trentino ospita estensioni importanti di prati, che negli ultimi decenni hanno subito profonde modificazioni determinate da fattori sociologici ed economici (modernizzazione della zootecnia, abbandono della montagna, affermazione di colture più redditizie), che hanno agito invariabilmente su tutti i comprensori montani.

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Queste modificazioni hanno determinato un notevole impatto negativo sulla biodiversità; in particolare, i due fattori che hanno avuto il ruolo più importante sono stati da un lato l’intensificazione delle pratiche colturali (eutrofizzazione dei prati dovuta a sovraconcimazione; taglio intensivo su ampie superfici permesso dal crescente grado di meccanizzazione) e dall’altro la scomparsa di superfici a prato (a causa dell’abbandono di aree marginali meno produttive o della conversione in colture più redditizie).

Nell’ambito della Rete Natura 2000 e della definizione delle misure agroambientali per il Piano di Sviluppo Rurale provinciale, la Sezione ha portato avanti negli anni numerose ricerche su due specie di uccelli simbolo dei prati del Trentino: il re di quaglie (Crex crex) e l’averla piccola (Lanius collurio) -per approfondimenti si rimanda ai riferimenti in calce; tuttavia, i prati, intesi come ecosistema nel suo complesso, non sono mai stati oggetto di uno specifico progetto di ricerca volto a comprendere le relazioni tra cambiamenti della praticoltura ed effetti sulla biodiversità, di cui gli uccelli sono ottimi indicatori.

Da ciò nasce la nostra volontà di comprendere i meccanismi macroscopici che agiscono in questo senso, di divulgare i risultati al pubblico più ampio e di arrivare a definire misure di conservazione adeguate per gli uccelli legati a questo particolare ambiente delle nostre montagne.

Giacomo Assandri

Ricercatore PostDoc
MUSE – Università di Pavia

Per approfondire

  • Brambilla, M., Pedrini, P., 2013. The introduction of subsidies for grassland conservation in the Italian Alps coincided with population decline in a threatened grassland species , the Corncrake Crex crex. Bird Study 60, 404–408.
  • Brambilla, M., Pedrini, P., 2011. Intra-seasonal changes in local pattern of Corncrake Crex crex occurrence require adaptive conservation strategies in Alpine meadows. Bird Conserv. Int. 21, 388–393.
  • Ceresa, F., Bogliani, G., Pedrini, P., Brambilla, M., 2012. The importance of key marginal habitat features for birds in farmland: an assessment of habitat preferences of Red-backed Shrikes Lanius collurio in the Italian Alps. Bird Study 59, 327–334.
  • Pedrini, P., Rizzolli, F., Rossi, F., Brambilla, M., 2012. Population trend and breeding density of corncrake Crex crex (Aves : Rallidae) in the Alps: monitoring and conservation implications of a 15-year survey in Trentino , Italy. Ital. J. Zool. 79, 377–384.