Grandi Carnivori

Restituire una fotografia oggettiva della presenza di orsi problematici in provincia di Trento e nelle Alpi centro orientali; fornire una stima del numero di individui problematici che potrebbero comparire nei prossimi anni; valutare l’efficacia delle modalità di intervento indicate dal Piano d’Azione interregionale per la Conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi Centro-Orientali (PACOBACE). Sono queste le tre direttrici attorno a cui si è sviluppato il lavoro dei ricercatori ISPRA e MUSE per la stesura del rapporto tecnico recentemente diramato dalla Provincia Autonoma di Trento.

Nell’inquadrare la situazione attuale, il rapporto analizza nel dettaglio la casistica delle situazioni critiche registrate tra il 2009 e il 2019.  La presenza di orsi problematici è un tratto comune a tutte le popolazioni di orso. La proporzione di individui che si rendono responsabili di conflitti con l’uomo rappresenta però una minima parte rispetto al totale. In Trentino, gli orsi particolarmente problematici sono stati in tutto 19, suddivisibili in differenti categorie: 6 orsi dannosi e 15 orsi pericolosi, a loro volta suddivisi in orsi confidenti (11) e orsi che hanno attaccato persone (4).

All’origine di questi comportamenti troviamo una molteplicità di fattori: le caratteristiche dell’ambiente, la compresenza di attività antropiche, le specificità della popolazione e dei singoli individui e, non ultimo, i comportamenti umani inadeguati. In questa complessità, l’importanza delle azioni di prevenzione appare evidente. Tra queste rientrano l’installazione di cassonetti dei rifiuti “anti-orso” e di recinzioni a difesa delle attività apistiche, agricole e zootecniche, l’informazione diffusa sui comportamenti più corretti da tenere.

Grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e relative
azioni previste dal PACOBACE. Le lettere i-j-k stanno rispettivamente per: cattura con rilascio allo scopo di spostamento e/o radiomarcaggio; cattura per captivazione permanente; abbattimento.

Nel sondare lo sforzo proattivo svolto fino ad oggi dal Servizio competente della Provincia, il rapporto getta uno sguardo anche al futuro, provando ad inquadrare l’insorgenza di nuove situazioni conflittuali alla luce dell’evoluzione demografica della popolazione trentina di orso tracciata dai modelli. Ad oggi, appare chiaro che gli interventi di gestione messi in atto e altre cause antropiche di mortalità hanno contribuito a mantenere il numero di animali problematici relativamente stabile. Con una stima di circa 130 animali nel 2025 (piccoli dell’anno esclusi), i risultati suggeriscono che nei prossimi 5 anni, il numero di orsi che potrebbe manifestare comportamenti problematici si aggiri intorno ai 5 individui (in media 1/anno), arrivando a 15, nello scenario più pessimista.

Le proiezioni riguardanti la demografia della popolazione e l’insorgenza di orsi problematici nei prossimi 5 anni.

Nel trattare queste previsioni (e i relativi limiti interpretativi), il rapporto dedica anche un’analisi approfondita alle criticità legate alla misura gestionale più energica indicata dal PACOBACE: la rimozione. Tale azione, che fino ad oggi si è tradotta per lo più in una captivazione permanente, in un futuro prossimo e a lungo termine, è ritenuta insostenibile per diverse ragioni: i costi di mantenimento per orsi e strutture nel lungo periodo; le criticità in termini di benessere animale; l’impossibilità di rilasciare nuovamente in natura animali ormai abituati all’uomo. È chiaro, dunque, che in presenza di un orso per il quale ogni azione di prevenzione e dissuasione si sia dimostrata inefficace l’abbattimento potrebbe rendersi un’opzione necessaria e inevitabile. Si tratterà in ogni caso di una decisione fondata sulla ricostruzione oggettiva dei fatti e sulla storia individuale dell’orso problematico.

Le evidenze dirette ed estratte dalla bibliografia internazionale dimostrano che una gestione proattiva che miri a prevenire l’insorgere di comportamenti problematici, in particolare confidenti verso l’uomo, rappresenta una strategia molto più efficace rispetto alla gestione reattiva (e.g. dissuasione o rimozione degli individui) e può evitare il manifestarsi di criticità di gestione limitando i conflitti sociali.

Il Rapporto sottolinea quindi la priorità di rafforzare gli sforzi tesi a prevenire l’insorgenza di comportamenti potenzialmente pericolosi ed il verificarsi di condizioni di rischio, in particolare riducendo le probabilità di condizionamento alimentare e di avvicinamento a centri abitati e altre strutture umane tramite l’implementazione di azioni specifiche. Viene ribadita inoltre l’importanza delle azioni di comunicazione e di un monitoraggio attento della popolazione e delle situazioni di rischio al fine di garantire interventi efficaci nelle situazioni critiche ed una corretta informazione della popolazione.

Viene inoltre segnalata la necessità di una migliore e più trasparente rendicontazione da parte della Provincia Autonoma di Trento di tutti gli episodi potenzialmente critici, al fine non solo di garantire valutazioni tecniche accurate da parte di enti esterni, ma anche di evitare la circolazione di notizie false o inaccurate riguardo tali episodi, che contribuirebbero all’esacerbarsi di conflitti sociali.

 

A cura di Valentina Oberosler e Marco Salvatori

Con i primi giorni di settembre si è conclusa la stagione di monitoraggio della fauna selvatica con foto-trappole nell’area del Brenta meridionale e del massiccio Paganella-Gazza, attività che la sezione di Zoologia dei Vertebrati, in convenzione con il Settore Grandi Carnivori PAT, porta avanti dal 2015. Come ogni estate, 60 siti distribuiti in un’area di studio di circa 220 km2 sono stati monitorati con foto-trappole, al fine di registrare passaggi di varie specie di mammiferi di medio-grandi dimensioni, dalla faina all’orso bruno, e quantificare parallelamente i tassi di disturbo antropico. Per rinfrescarvi la memoria sul progetto, aspetti tecnici e obiettivi, trovate qui l’ultima edizione del Rapporto Grandi Carnivori PAT, con un capitolo dedicato, e a una pubblicazione scientifica basata sui dati del primo anno di monitoraggio.

Personale MUSE al lavoro durante l’attivazione di una foto-trappola.

Tra le novità di quest’anno, un grande ritorno: dopo un singolo passaggio registrato nel 2015, nelle nostre foto-trappole è riapparso il lupo, il cui ritorno naturale sta interessando, in tempi diversi, varie zone del territorio provinciale. L’estate 2020 si conquista un altro piccolo primato: per la prima volta dall’inizio del progetto, orso e lupo sono stati fotografati negli stessi siti, nel corso della stessa stagione. Anche in questa stagione di campionamento, comunque, si conferma la predominanza di foto di esseri umani riscontrata negli anni scorsi: mediamente le ‘catture’ di persone sono oltre tre volte più numerose rispetto a quelle di fauna selvatica. Il quadro che ne risulta è quindi quello di un ambiente fortemente utilizzato dall’uomo, principalmente per ragioni turistiche. A questo proposito, è in fase di ultimazione un’analisi specifica che affronta il tema dell’effetto del disturbo antropico sui pattern spaziali e temporali di attività dell’orso bruno. A breve, nuovi aggiornamenti!

Orso e lupo “catturati” nello stesso sito da una foto-trappola nell’area di studio in Trentino Occidentale durante l’estate 2020.

Ma l’attività di foto-trappolaggio di Sezione quest’anno ha avuto la possibilità di ampliare i suoi orizzonti: dai boschi del Brenta ci siamo spostati ad oriente, verso la foresta dei violini, nel Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino. Grazie al supporto del Parco, formalizzato tramite una convenzione con il MUSE, è infatti iniziato da pochi giorni, con protocollo analogo a quello del Trentino occidentale, un programma di monitoraggio all’interno dei suoi territori e nelle zone limitrofe che proseguirà fino alla fine di novembre. Gli obiettivi ancora una volta sono vari: dal monitoraggio della presenza e arrivo di specie sul territorio alla derivazione di indici di abbondanza, da analisi specie-specifiche di distribuzione all’indagine degli effetti del disturbo antropico sulla fauna. Ci auguriamo che la stagione si svolga senza troppi intoppi e con un bilancio positivo, nell’ottica di avviare anche in Trentino orientale un programma di monitoraggio pluriennale come quello del Brenta, consentendoci di aggiungere un nuovo tassello alla conoscenza dei mammiferi che abitano le Alpi e di capire meglio come questi rispondono alle attività umane.

 

a cura di Veronica Nanni. Foto di copertina: Rob Hurson

Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Reddit, Pinterest: i social media sono ormai parte della nostra vita quotidiana. Li utilizziamo per tenerci in contatto con gli amici, per pubblicare frammenti e istantanee delle nostre vite e per tenerci informati su quanto accade. È infatti con frequenza crescente che gli utenti utilizzano queste piattaforme come principale fonte d’informazione e punto di riferimento per apprendere le notizie provenienti dal mondo. Abbiamo la possibilità di condividere, filtrare e personalizzare le notizie che leggiamo, ma siamo sicuri di poterci fidare di questo immenso flusso di informazioni?

Purtroppo, non tutto quello che circola sui social, e sul web in generale, è veritiero e la crescente diffusione delle cosiddette fake news ne è la prova. In altre circostanze invece, l’informazione, pur basandosi su fatti reali, viene enfatizzata, spettacolarizzata, condita con toni sensazionalistici e approdando sui differenti canali dei social media si propagata velocemente, riecheggiando nello spazio e nel tempo. È quanto emerso in un recente lavoro pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution. Lo studio si è concentrato sulle modalità con cui notizie relative ai grandi carnivori pubblicate dai giornali venissero poi riprese e condivise attraverso i social media (Fig.1).

Figura 1. Alcuni esempi di titoli, sottotitoli e immagini contenute negli articoli analizzati suddivise secondo la classificazione sensazionalistica (graphic) o non sensazionalistica (non-graphic). [Photo credits]

I dati emersi dall’analisi mirata di articoli pubblicati online da testate internazionali e riguardanti casi di attacchi di Grandi Carnivori all’uomo si sono rivelati estremamente interessanti e, in alcuni casi, allarmanti. Tra questi, il dato che riguarda lo stile dell’informazione: sui social, a farla da padrone, sono le notizie caratterizzate da un tipo di informazione violenta e sensazionalistica, che risultano essere le più condivise dagli utenti. Altro aspetto riguarda il ruolo delle immagini nel catturare l’attenzione del lettore: la presenza di una o più immagini nell’articolo, ne facilita la condivisione. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, invece, la visibilità del giornale non influenza il numero di condivisioni sui social, simili per articoli provenienti da testate locali, nazionali e mondiali, con ricadute dirette sulla risonanza dell’episodio: anche un evento estremamente localizzato può essere proiettato su scala globale grazie all’utilizzo dei social media.

A differenziare le testate mondiali e nazionali da quelle locali era invece il tipo di informazione condivisa: per le prime, erano gli articoli sensazionalistici ad essere maggiormente rilanciati, mentre per le seconde, i racconti di attacco all’uomo venivano condivisi a prescindere dallo stile adottato (Figura 2B). È probabile che la vicinanza al luogo in cui si è verificato l’incontro, colpisca il lettore indipendentemente dal sensazionalismo o meno della notizia, mentre un evento lontano richieda un contenuto “forte” per essere condiviso. Ulteriori osservazioni riguardano la differenza nel numero di condivisioni per le diverse specie considerate, probabile riflesso di alcuni aspetti culturali e sociali. Lo squalo e l’alligatore, per esempio, ottengono sempre una grande risonanza, a prescindere dal modo in cui la notizia veniva riportata. Questi due animali acquatici, così lontani da noi nella linea evolutiva e che vivono un ambiente a noi poco familiare, potrebbero godere di una nostra minor empatia, sono capaci di smuoverci emotivamente e risvegliare le nostre paure più ancestrali, catturando la nostra attenzione anche quando l’evento del loro attacco viene raccontato con toni neutrali.

Figura 2. (A) differenza nel numero di condivisioni (NTS) per articoli sensazionalistici (graphic) e non sensazionalistici (non graphic), si nota come gli articoli sensazionalistici siano significativamente più condivisi sui social. I due box plots successivi mostrano una differenza nel numero di condivisioni tra articoli sensazionalistici (in rosso) e articoli non sensazionalistici (in bianco) per: (B) tipologia di testata giornalistica (locale, nazionale o mondiale); e (C) specie. Modificata da Nanni et al, 2020. [Photo credits]

 

L’uomo ha una paura istintiva dei predatori, ma questa paura può essere alimentata dal tipo di informazioni veicolate dai giornali e dalla loro diffusione sui social media. La ricerca mostra come i social media stiano contribuendo alla diffusione di un’informazione fortemente sbilanciata verso una visione dei predatori quali animali violenti, capace di condurre il pubblico a paure ingiustificate ed amplificate, diminuendo di conseguenza la tolleranza verso i grandi carnivori e ostacolando gli sforzi fatti fino ad ora per la conservazione di queste specie.

Per approfondire:

Siti:
https://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/species/carnivores/index_en.htm
http://www.crocodile-attack.info/
https://www.floridamuseum.ufl.edu/shark-attacks/

Pagine social:
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