Biodiversità

Con la sua tesi di dottorato (Biodiversity conservation in permanent crops and grasslands), Giacomo Assandri si è aggiudicato il prestigioso Premio Daikin per la Conservazione della Biodiversità per l’anno 2018. Giacomo ha ottenuto il Dottorato in Scienze della Terra e dell’Ambiente presso il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia, con una borsa di studia finanziata dal MUSE di Trento. Supervisori del progetto sono stati Giuseppe Bogliani (Dipartimento di Scienza e della Terra – Pavia), Paolo Pedrini e Mattia Brambilla (MUSE).

La tesi di Giacomo aveva come scopo la definizione di pratiche gestionali sostenibili volte a favorire la biodiversità nei sistemi agricoli permanenti e, più in generale, la loro sostenibilità ambientale. Un obiettivo di particolare urgenza, in quanto questi sistemi agricoli sono stati esclusi dall’obbligo di «greening» previsto nella Politica Agraria Comune (un insieme di norme volte a migliorare la sostenibilità dell’agro-ecosistema, obbligatorie per ricevere i contributi economici previsti per quel settore), in quanto considerati – a torto – sostenibili di per sé. La necessità di misure di conservazione basate su dati scientifici è stata uno dei leitmotiv del progetto di ricerca, che ha portato alla pubblicazione di nove lavori su questi temi su riviste scientifiche internazionali.

In tutto sono state pervenute 15 candidature da ricercatori provenienti da 11 diverse università italiane con tesi di dottorato riguardanti i più disparati aspetti della conservazione della biodiversità, segno del buon successo di partecipazione anche per questa quarta edizione del premio. Il premio verrà consegnato durante l’annuale convegno del Dipartimento BBCD dell’ Università Sapienza di Roma.

 

«Biodiversità partecipata» è il nome del progetto avviato nel 2015 e promosso dal Servizio Sviluppo sostenibile e Aree protette della PAT e MUSE. L’obiettivo era quello di trasformare la scienza in un tema quotidiano, attraverso un piano di comunicazione e di educazione alla biodiversità all’interno delle Aree Protette del Trentino, agevolando la formazione di una nuove alleanze tra territori, ricercatori e cittadini. In questo progetto rientra anche il Workshop organizzato il 19 febbraio scorso presso la Sala Conferenze del MUSE con titolo: «Citizen Science e Aree protette». Tanti gli interventi e gli spunti che si sono susseguiti nel corso della giornata e che hanno permesso di approfondire le tante potenzialità e applicazioni dell’ormai sempre più diffusa «scienza dei cittadini» (Citizen Science per l’appunto).

Fonte immagini: EU Report – Environmental Citizen Science

Nel 2014, il termine citizen science veniva per la prima volta inserito all’interno del prestigioso Oxford Dictionary. Eppure, come ricordato nelle prime battute dell’incontro, la scienza partecipata affonda le sue radici in tempi ben più lontani: Michele Lanzinger, direttore del MUSE, ha sottolineato come tanti musei di scienze naturali abbiano preso vita proprio a partire dalla collezione di un qualche facoltoso appassionato o avventuriero, mentre Claudio Ferrari, dirigente del Servizio Sviluppo sostenibile e Aree Protette, ha portato ad esempio l’Audubon Christmas Bird Count, che con i suoi 117 anni di vita detiene il primato del più vecchio progetto di citizen science al mondo.

Fonte immagini: Choosing and Using Citizen Science

Andrea Sforzi, direttore del Museo di Storia naturale della Maremma e membro del direttivo della European Citizen Science Association (ECSA), ha invece affrontato i principi generali che stanno alla base del coinvolgimento delle persone nella scienza, soffermandosi soprattutto sulle ricadute positive di questo tipo di attività.Aprire le porte della ricerca ai cittadini significa offrire l’opportunità di esplorare e conoscere un luogo, di affinare le proprie competenze, di promuovere relazioni e reti tra gruppi di persone, di riportare l’uomo a contatto con la natura e, attraverso tutto questo, di gettare le basi per un cambiamento sociale e culturale. Non va poi dimenticato che alla base di ogni progetto di Citizen Science vi è una domanda di ricerca, il ruolo dei ricercatori è quindi fondamentale, richiedendo da parte loro disponibilità a mettersi in gioco.

 

Fonte immagine: progetto InNat

La mattina si è chiusa con la presentazione di alcuni recenti progetti di citizen science di successo: «The school of ants», nato da una collaborazione tra Università di Parma e MUSE, e dedicato alla raccolta di dati sulle specie di formiche con le scuole; i progetti nazionali «MIPP» e «InNat», per il monitoraggio partecipato di specie di insetti di interesse conservazionistico; l’esperienza dei «Cammini LTER», in cui i cittadini e scienziati condividono un percorso attraverso i siti di ricerca della rete LTER, in una sorta di «laboratorio partecipativo itinerante», il progetto «MERIT», una sperimentazione con i contadini dell’Alto Adige, per monitorare la biodiversità dei prati associata ai premi assegnati per la loro gestione dei prati.

Nel pomeriggio, la parola è tornata ad Andrea Sforzi, per un approfondimento sui BioBlitz, uno tra gli strumenti operativi più comuni nell’ambito della scienza partecipata. Un BioBlitz è un modo informale e divertente per ottenere un quadro generale delle varietà di forme di vita che popolano una certa area, affiancando scienziati e cittadini nella raccolta dei dati. L’evento, che solitamente ha una durata di 24h, richiede un’organizzazione articolata, che non lasci nulla al caso. Dibattito e confronto su alcuni elementi di progettazione legati a questo tipo di attività hanno segnato il concludersi dei lavori.

Qui di seguito, il link ad alcune risorse consigliate nel corso del Workshop:

Fonte immagine: Bristol Natural History Museum

Nuovo traguardo formativo conseguito presso la Sezione di Zoologia dei Vertebrati. Chiara Fedrigotti ha completato il Master Interateneo di I livello in Gestione e Conservazione dell’Ambiente e della Fauna, discutendo la tesi dal titolo “La trasformazione del paesaggio nelle Prealpi Centro-Orientali: analisi del pattern spaziale e aspetti di conservazione”. Le ricerche hanno interessato un’area vasta, all’interno della quale ricadono il gruppo delle Alpi Orobie e le Prealpi del Trentino meridionale, con la Rete di Riserve delle Alpi Ledrensi e il Parco Naturale Locale del Monte Baldo.

Panorama del Baldo © Foto Archivio Parco Naturale Locale Monte Baldo

Partendo dall’analisi ed interpretazione di immagini aeree, lo studio ha permesso di mappare e quantificare i principali cambiamenti avvenuti nel paesaggio delle aree considerate. Particolare attenzione è stata riservata all’evoluzione degli ambienti prativi e delle aree aperte in generale. Questi habitat, spesso frutto della storica interazione con le attività umane, rappresentano delle realtà di grande interesse conservazionistico per le specie che ospitano e il marcato declino evidenziato dalla ricerca rappresenta una criticità ecologica emergente. L’analisi del pattern spaziale di perdita delle aree aperte ha permesso di individuare i principali fattori fisico-ambientali in grado di influenzare la probabilità di abbandono di un territorio, confermando come le aree che per prime vengono colonizzate dal bosco sono quelle poste in corrispondenza di pendenze maggiori, condizioni climatico-ambientali più sfavorevoli alle attività umane (es. scarsità di precipitazioni e di risorsa idrica) o più favorevoli alla crescita della vegetazione (es. temperatura media maggiore).

Pascoli delle Alpi Orobie (fonte: http://forum.valbrembanaweb.com/)

Al fine di approfondire ulteriormente le conseguenze dei cambiamenti ambientali sulla biodiversità, nel corso dello studio è stato sviluppato un modello di idoneità ambientale per il picchio nero (Dryocopus martius), specie indicatrice per gli habitat forestali. Il modello mostra come nel passaggio dal 1954 ad oggi (questo l’intervallo di tempo considerato), l’idoneità ambientale per questa specie sia aumentata significativamente, sottolineando l’importanza delle trasformazioni del paesaggio nella definizione delle misure di conservazione. A Chiara, l’augurio di poter proseguire nelle sue ricerche, allargando le analisi ad un più ampio spettro di specie e approfondendo l’evoluzione del paesaggio nei contesti considerati. Un ringraziamento particolare va infine a Mattia Brambilla, ricercatore della Sezione e supervisore scientifico del progetto.

 

Picchio nero (Dryocopus martius). Ph. Mauro Mendini – Arch. MUSE