Pernice bianca

Tre pernici un unico clima

by Davide Scridel on

Proseguono le ricerche della Sezione di Zoologia dei Vertebrati dedicate agli effetti dei cambiamenti climatici sull’avifauna. La Facoltà di Scienze Forestali della British Columbia (Canada) e il MUSE-Museo delle Scienze di Trento hanno infatti da poco unito le loro forze per indagare l’impatto del riscaldamento globale su tre specie di pernici presenti nella Columbia Britannica.
Affacciata sull’Oceano Pacifico, questa vasta regione si contraddistingue per la presenza di grandi aree naturali e un territorio in prevalenza montuoso, posto per oltre il 75% della sua superficie al di sopra dei 1.000 m. La Columbia Britannica è inoltre la provincia canadese con il più alto tasso di biodiversità, ospitando circa l’80% delle specie di mammiferi e il 70% di uccelli presenti di questo stato.

Tra questi, spiccano le 3 specie di pernici oggetto dell’approfondimento: la pernice coda bianca, la pernice bianca e la pernice bianca nordica. Le popolazioni di questi uccelli presentano una distribuzione altitudinale e latitudinale segregata, associata ad habitat differenti e diverse strategie riproduttive.
La pernice coda bianca (Lagopus leucurus), endemica dell’America nord-occidentale, è quella che occupa le altitudini superiori, frequentando le zone al di sopra della linea degli alberi durante tutto l’anno. Ha una strategia riproduttiva molto dinamica caratterizzata da un elevato tasso di fecondità e, forse anche per questo motivo, da un turn-over degli adulti più rapido rispetto a quello delle altre specie.
Molto diversa e meno flessibile è la situazione della pernice bianca (Lagopus muta), che difficilmente ritenta una nuova covata qualora la prima fallisca e che, nonostante le dimensioni maggiori, sembra risentire della competizione con la pernice coda bianca e molto probabilmente anche con quella nordica (Lagopus lagopus). Quest’ultima è la specie più grande e forse abbondante del Nord America, caratterizzata da una spiccata territorialità sia nel maschio che nella femmina, sempre impegnati nella difesa attiva del nido e della prole.

Le tre specie studiate. Da sinistra verso destra: pernice coda bianca, pernice bianca e pernice bianca nordica. Ph. Scott Wilson

Malgrado l’elevata naturalità che ancora oggi contraddistingue i territori della Columbia Britannica, sono molte le minacce che gravano sulla conservazione di queste specie: la scarsa conoscenza dei trend di popolazione, lo sviluppo e allargamento degli impianti sciistici, l’intensificazione delle attività agro-silvo-pastorali e l’estrazione di minerali.

Del tutto sconosciuto è l’impatto che il cambiamento climatico può avere su di esse. Nell’ultimo secolo, le temperature della regione sono aumentate di 1.1°C in estate e di 2.1°C in inverno, con una perdita netta di 24 giornate di gelo. Anche se non è difficile immaginare le conseguenze di tali variazioni su uccelli così adattate ai climi freddi, i dati raccolti finora mostrano come le 3 specie potrebbero rispondere in maniera diversa all’aumento delle temperature.
I primi modelli di idoneità realizzati nell’ambito della ricerca mostrano come il rischio sia maggiore per la pernice coda bianca e quella bianca, tipicamente distribuite alle quote e latitudini superiori, con possibili perdite di habitat e scompensi fisiologici. Diversi potrebbero invece essere gli effetti sulla pernice bianca nordica, che nel breve termine potrebbe beneficiare dell’incremento dell’habitat arbustivo conseguente l’aumento delle temperature medie.

La Columbia Britannica ospita ancora oggi vaste aree di wilderness. Ph. Davide Scridel

La pernice bianca (Lagopus muta) è una specie incredibilmente adattata ai climi freddi e, per lungo tempo, questa sua specializzazione le ha consentito di sopravvivere alle difficili condizioni degli ambienti artici e alpini. Oggi però il bilancio delle sue popolazioni appare tutt’altro che positivo: il suo areale di presenza sta subendo una graduale contrazione, costringendo la pernice a spostarsi verso latitudini maggiori o quote più elevate, accentuando la frammentazione e l’isolamento delle popolazioni. Per la Lista Rossa Nazionale si tratta di una specie «vulnerabile» (VU); BirdLife International la classifica invece come SPEC 3, vale a dire «specie la cui popolazione globale non è concentrata in Europa, ma che in Europa presenta uno stato di conservazione sfavorevole». Tra i principali fattori ritenuti responsabili di questo declino, un ruolo di primo piano spetta al cambiamento climatico, i cui effetti colpiscono gli ambienti montani con particolare intensità.

 

Ph. Mauro Mendini

 

Queste le premesse che hanno portato Lipu/BirdLife Italia e MUSE a promuovere un convegno dedicato alla specie. L’evento è riuscito a richiamare circa 140 persone fra ricercatori, amministratori, tecnici del settore e appassionati, offrendo loro un’occasione di incontro e di aggiornamento sullo stato delle conoscenze relativamente a questa specie e agli effetti del cambiamento climatico sulle sue popolazioni.
Il programma, ricco di interventi, è stato preceduto dai saluti di Paolo Pedrini del MUSE e di Maurizio Zanin della Provincia Autonoma di Trento, che ha sottolineato l’importanza di tenere vivo l’interesse della società nei confronti delle specie, al fine di garantirne la conservazione e la sopravvivenza. Significative anche le parole di Claudio Celada, di Lipu/BirdLife Italia, che ha affermato: «la pernice è simbolo dell’alta quota, della natura incontaminata, ma anche della minaccia rappresentata dal cambiamento climatico. Non vorremmo che questo uccello diventasse anche il simbolo di una grande sconfitta». Simili preoccupazioni e speranze sono state quindi condivise da Sergio Merz, delegato della Sezione Lipu di Trento.

Tra i relatori della mattinata, Niklaus Zbinden (Università di Berna), con una presentazione dedicata all’ecologia della specie e al suo stato di conservazione in Svizzera. A seguire, Dan Chamberlain (Università di Torino), che ha richiamato l’attenzione sugli effetti del clima sull’avifauna alpina, e Simona Imperio, dell’ISPRA, che, presentando insieme a Radames Bionda uno studio sulla pernice bianca nelle Alpi occidentali, ha illustrato i tanti fattori che contribuiscono al suo declino nelle Alpi: il ritardo nella data di innevamento, che causa problemi di mimetismo; l’innalzamento della temperatura al di sopra del range ideale per la specie; lo stress arrecato dalle attività di outdoor (sci alpinismo, impianti di discesa, mountain-bike…); l’impatto venatorio che, nonostante lo status sfavorevole della specie, continua a persistere in gran parte dei distretti alpini.

 

Ph. Archivio MUSE

 

Nel pomeriggio, le relazioni sono proseguite con una panoramica dello stato delle popolazioni di pernice bianca in diverse aree protette dell’arco alpino: Parco regionale Alpe Veglia e Devero, Parco Naturale Val Troncea, Dolomiti Bellunesi, Gran Paradiso. In chiusura, la tavola rotonda con i rappresentanti delle regioni alpine, dei parchi, insieme al delegato CIPRA Italia e all’Associazione dei Cacciatori Trentini, ha focalizzato il dibattito sulla multiformità della realtà alpina, sulle azioni messe oggi in atto in risposta ai tanti fattori di minaccia, individuando nella chiusura della caccia una possibile azione a supporto di una specie ormai fortemente minacciata.
Il quadro delle sfide da affrontare per superare una situazione preoccupante è complesso, ma al tempo stesso stimolante, obbligando tutti a porre una maggiore attenzione per uno sviluppo sostenibile, rispettoso delle Alpi nel loro insieme, capace di saper leggere i cambiamenti in atto e mitigare le attività antropiche che ne amplificano gli effetti. «Perché si possa dire che la giornata sulla pernice abbia avuto esito positivo – hanno sottolineato i curatori dell’evento – sarà fondamentale darle un seguito concreto». E su questa strada si muoveranno i prossimi passi.

Foto di copertina: Pernice bianca – Ph. Mauro Mendini

Il programma della giornata

Il video della conferenza Parte 1 – Parte 2 – Parte 3

 

 

Ph. Archivio MUSE