Davide Scridel

Forse non tutti sapete che stiamo per entrare nel terzo anno di collaborazione tra MUSE, Università di Pavia, Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino, Parco Nazionale dello Stelvio, CAI/SAT, Università di Berna e Swiss Ornithological Institute, per approfondire le conoscenze biologiche ed ecologiche del fringuello alpino (Montifringilla nivalis) nella regione alpina.

Individuo adulto di fringuello alpino durante il periodo riproduttivo, identificabile grazie al becco di colore grigio-scuro.

Il fringuello alpino è da considerarsi un vero e proprio specialista dell’alta quota: nidificante quasi esclusivamente al di sopra dei 2000 m, è uno dei pochi vertebrati in grado di sopravvivere per tutto l’anno in questi contesti ed è quindi considerato particolarmente sensibile ai cambiamenti climatici. Come evidenziato in un post precedente (/index.php/2017/09/06/i-cambiamenti-climatici-sono-realta-per-lavifauna-italiana/), specie legate ad ambienti montani freddi hanno subito in Italia contrazioni dell’areale riproduttivo più forti rispetto a specie legate a climi più caldi. A oggi, le conoscenze riguardanti l’ecologia e la biologia di specie legate ad ambienti d’alta quota rimangono piuttosto carenti e dunque il progetto di installare cassette nido per fringuelli alpini sull’arco Alpino rappresenta un’opportunità unica per capire meglio come specie legate ad ambienti freddi stiano rispondendo alle alterazioni climatiche. Le cassette nido, al momento collocate presso il Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino e Parco Nazionale dello Stelvio, hanno diversi risvolti applicativi: dall’offrire siti alternativi di nidificazione, a facilitare ai ricercatori l’altrimenti difficile raccolta di variabili demografiche come il numero di uova, il numero di pulcini e il periodo d’involo in rapporto ad alterazioni climatiche.

Nido naturale sull’altopiano delle Pale di San Martino. In alto a destra particolare dell’ingresso al nido (Foto: Matteo Anderle).

Affittasi bilocale…riproduttivo
I fringuelli alpini nidificanti presso il Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino e Parco Nazionale dello Stelvio si riproducono generalmente tra maggio e giugno (prima di due potenziali covate stagionali) a quote che vanno dai 1900 m ai 3000 m s.l.m.. I nidi vengono costruiti in contesti sia “naturali” che antropici. Nel primo caso, i nidi trovati sono generalmente collocati su alte pareti rocciose dentro buchi, fessure, crepe e cenge di modesta dimensione, difficilmente raggiungibili dai predatori. In altri casi la specie può nidificare in cavità artificiali sui rifugi alpini, in vecchie strutture abbandonate e persino su tralicci degli impianti di risalita sciistica. Nel 2016 sono state installate 21 cassette nido nel Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino e 20 nel Parco Nazionale dello Stelvio; dato il successo nell’occupazione delle cassette da parte della specie, l’anno successivo sono state aggiunte ulteriori 11 cassette nido.

La cassetta nido è composta da 2 stanze: un’anticamera ed una seconda camera all’interno della quale viene solitamente costruito il nido, composto perlopiù da erba e materiali isolanti quali pelo, piume della specie stessa o di altre specie d’alta quota come ad esempio la pernice bianca (Lagopus muta). Tutte le cassette sono state posizionate a un’altezza di almeno 2 metri, su strutture quali rifugi, baite o ruderi presenti all’interno dell’habitat riproduttivo potenziale. Nell’estate del 2017, dopo un solo anno dall’installazione, 11 cassette su 41 sono state trovate occupate, 5 da codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros) e 6 da fringuello alpino. Sebbene il tasso di occupazione sia ancora relativamente basso, ci si attende un suo graduale incremento associato all’aumentare del numero di cassette disponibili e della confidenza della specie verso di esse.

Cassette nido installate nel Parco Naturale di Paneveggio – Pale di San Martino e nel Parco Nazionale delle Stelvio. Nella foto di destra si noti il nido, costruito nella seconda camera, con all’interno alcuni pulli di fringuello alpino.

Nei casi di avvenuta nidificazione, le coppie di fringuelli alpini sono state monitorate nel corso dell’intero periodo riproduttivo per approfondirne l’etologia e l’ecologia. Gli studi, svolti grazie al supporto dei tesisti Giulia Masiero e Marica Bazzanella (Università di Padova), hanno permesso di valutare la selezione dell’habitat frequentato per la ricerca del cibo da portare ai nidiacei.

I risultati preliminari suggeriscono una preferenza per prati, macchie di neve e margini in scioglimento tra neve ed erba, dove gli adulti possono reperire una buona densità di invertebrati. Inoltre è stato evidenziato che la selezione delle chiazze di neve aumenta al diminuire della copertura erbosa, dunque popolazioni di fringuelli alpini legati ad habitat prevalentemente rocciosi sarebbero più a rischio a causa dello scioglimento delle nevi e la conseguente scomparsa di habitat di foraggiamento favorevoli rispetto a popolazioni il cui habitat è composto da altri ambienti (es. praterie) che offrono risorse trofiche alternative, sottolineando come i cambiamenti climatici influiscano in maniera disomogenea su habitat e popolazioni.

Operazione di inanellamento dei pulli di fringuello alpino ormai prossimi all’involo (Foto: Alessandro Forti).

 

 

Ringraziamenti: Alessandro Forti, Mattero Anderle, Federico Capelli, Simone Tenan, Mattia Brambilla, Giuseppe Bogliani, Paolo Pedrini, Piergiovanni Partel, Luca Pedrotti, Enrico Bassi, Eliseo Strinella, Fernando Spina, Luca Volponi, Severino Vitulano, Alessandro Franzoi, Aaron Iemma, Francesca Rossi, Karol Tabarelli de Fatis, Emilio Coser per il video.

Per la foto di copertina si ringrazia Marco Melotti (Rifugio Bocca di Selva).

Per approfondire:
Brambilla, M., Cortesi, M., Capelli, F., Chamberlain, D., Pedrini, P., & Rubolini, D. (2017). Foraging habitat selection by Alpine White-winged Snowfinches Montifringilla nivalis during the nestling rearing period. Journal of Ornithology, 158(1), 277-286.

  • Brambilla M., Caprio E., Assandri G., Scridel D., Bassi E., Bionda R., Celada C., Falco R., Bogliani G., Pedrini P., Rolando A., Chamberlain (2017). A spatially explicit definition of conservation priorities according to population resistance and resilience, species importance and level of threat in a changing climate. Diversity and Distributions, 23: 727-738.
  • Scridel D., Bogliani G., Pedrini P., Iemma A., von Hardenberg A., Brambilla M. (2017) Thermal niche predicts recent changes in range size for bird species. Climate Research 73:207-216.

Un recente articolo scientifico sviluppato proprio dai ricercatori MUSE – Sezione Zoologia dei Vertebrati, in collaborazione con l’Università di Pavia, ed il Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino, dimostra come negli ultimi 30 anni i cambiamenti climatici abbiano influenzato l’avifauna italiana.

Quest’estate è stata inaugurata al Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino una mostra dedicata proprio a questo argomento e rimarrà visitabile tutto l’autunno (orari: 8:30-12:30 e 14:30-17).

GLI AMBIENTI MONTANI CAMBIANO

A scala globale le zone montuose coprono appena ⅕ della superficie terrestre, ma includono ben ¼ della biodiversità totale e quasi il 50% degli hotspot di biodiversità (Myers et al. 2000; Millennium Ecosystem Assessment 2003): per questa ragione le montagne sono considerate regioni ad alto valore conservazionistico. L’effetto del riscaldamento climatico sulla superficie terrestre non avviene in maniera uniforme, ma varia seguendo andamenti latitudinali ed altitudinali, con estremi di surriscaldamento verso i poli e ad elevate altitudini (Beniston & Rebetez 1996). Questa relazione desta molta preoccupazione proprio per la biodiversità presente nelle aree montuose temperate, incluse le nostre Alpi. Sull’arco alpino, gli effetti dei cambiamenti climatici hanno infatti già causato importanti alterazioni tra cui ricordiamo l’innalzamento del limite degli alberi e della distribuzione di alcune specie ornitiche, ma anche la variazione del successo riproduttivo di alcune specie. La minaccia è ulteriormente aggravata da fattori antropici come lo sfruttamento delle foreste, l’abbandono dei pascoli e la realizzazione di nuovi impianti sciistici, che in modi diversi contendono e strappano a molte specie gli habitat ideali, costituiti da praterie e altri ambienti d’alta quota. Tali cambiamenti in particolare stanno causando un calo delle popolazioni di numerose specie di uccelli che vivono negli habitat alpini.

IL CLIMA IN ITALIA
Proprio quest’anno uno studio dell’ISPRA ha dimostrato come l’Italia stia climaticamente peggio della media globale, registrando un’anomalia della temperatura media di +1.58°C rispetto al valore globale di +1.23 C°, con nuovi record localizzati soprattutto nei contesti montuosi. Seppur in incremento, gli studi su clima e avifauna in aree montane rimango pochi. In generale, gli uccelli hanno una buona capacità nel rispondere alle fluttuazioni climatiche, ad esempio spostandosi latitudinalmente o altitudinalmente. Per le specie montane questo risulta particolarmente problematico perché, assieme alla temperatura, anche l’area abitabile decresce man mano che si sale di quota, rendendo queste popolazione ancora più isolate e quindi molto vulnerabili e soggette ad estinzioni (Figura 1).

Figura 1 – Le foreste di latifoglie, quelle di conifere, gli ambienti alpini, quelli sub-nivali e nivali sono ambienti la cui presenza ed estensione è determinata principalmente dal clima. I cambiamenti climatici stanno causando importanti alterazioni a questi biomi influenzandone l’estensione e la composizione. Ad esempio, l’innalzamento del limite degli alberi nelle zone alpine riduce l’estensione delle praterie alpine, la cui possibile risalita è limitata dalla la mancanza di substrati idonei. Allo stesso tempo, gli habitat del piano nivale stanno riducendo la loro estensione a causa dello scioglimento dei ghiacci e nevi perenni.

CAMBIAMENTI CLIMATICI E VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE ORNITICHE: COSA E’ SUCCESSO NEGLI ULTIMI 30 ANNI?

Gli effetti dei cambiamenti climatici su specie legate ad ambienti freddi sono generalmente considerati deleteri, ma gli studi che testano questa relazione nell’avifauna sono ancora pochi e rari soprattutto nel contesto alpino. Per colmare questa lacuna abbiamo verificato l’esistenza di una relazione tra variazione nell’areale di nidificazione di alcune specie in Italia negli ultimi 30 anni e la nicchia termale (ovvero il clima abitato dalle specie, misurato come temperatura media annuale dell’areale a scala europea) delle specie stesse.
Abbiamo considerato un gruppo di specie strettamente legate ai climi “freddi” delle montagne e un gruppo di specie molto simili ma presenti in climi più caldi e a quote generalmente più basse. Come si può vedere dalla Figura 2, specie legate ad ambienti freddi come la Pernice bianca, il Gallo cedrone, la Civetta capogrosso ed il Fringuello alpino hanno subito contrazioni di areale riproduttivo, rispetto a specie legate a climi più caldi come la Passera lagia o la Pernice rossa. Il principale effetto sulla variazione di areale risulta associato proprio alla nicchia termale delle specie: quelle che amano il freddo hanno generalmente subito una contrazione di areale, mentre quelle che occupano aree più calde sono generalmente andate incontro ad espansione. Questo indica chiaramente come il riscaldamento climatico stia influenzando profondamente la distribuzione delle specie ornitiche nel nostro Paese. Infine, sebbene l’effetto non sia particolarmente rilevante in termini statistici, le specie forestali mostrano tendenzialmente trend più favorevoli rispetto a quelle legate ad ambienti agricoli o d’alta quota.
 

Figura 2 – Relazione tra il trend di areale (variazione % di areale riproduttivo in Italia negli ultimi 30 anni, secondo i dati del reporting ai sensi della Direttiva Uccelli; Nardelli et al. 2015) e la temperatura media annuale dell’areale delle specie a livello Europeo. Il valore zero sull’asse verticale indica che non c’è stato cambiamento nel numero di aree riproduttive occupate negli ultimi 30 anni, mentre una percentuale positiva significa incremento e negativa perdita.

BIBLIOGRAFIA UTILE