Biodiversità

SI FA PRESTO A DIRE “MONTAGNA”!

by Davide Scridel on

Il dibattito sui caratteri che fanno di un rilievo una montagna anima ancora aggi gli studiosi: certo, pensando ai 8.848 m dell’Everest o ai 4.809 m del Monte Bianco, l’utilizzo del termine “montagna” risulta quanto mai azzeccato. Lo stesso però non si può dire del Monte Wycheproof, in Australia (148m) o del Suur Munamägi, che con i suoi 318m è la “vetta” più alta dell’Estonia. Su questa considerazione ha gettato le basi per la revisione e meta-analisi recentemente pubblicata sulla rivista IBIS (International Journal of Avian Science). Un lavoro nato dalla collaborazione tra numerosi esperti internazionali, uniti dall’obiettivo di ricostruire una panoramica aggiornata dello status degli uccelli montani della regione Olartica a fronte dei cambiamenti in atto. Montagne e altopiani delle latitudini superiori costituiscono realtà naturalistiche tanto preziose quanto delicate: in queste zone, il tasso di surriscaldamento è superiore rispetto alla media mondiale e ugualmente intensi sono i mutamenti che riguardano il loro paesaggio.

Considerare l’altitudine come unico fattore discriminante per individuare le aree montane, avrebbe comportato l’esclusione dalla ricerca dei sistemi montuosi più antichi, come gli Urali, le Highlands scozzesi o i monti Appalachi. A dipanare la questione, è giunta in aiuto una recente definizione (vedi immagine Kapos et al. 2000), che classifica i sistemi montuosi in 7 classi, distinguendole sulla base delle caratteristiche climatiche, topografiche, latitudine e uso del suolo. L’identificazione delle aree montane ha quindi permesso di separare le specie ornitiche “specialiste d’alta quota” da quelle “generaliste”. Nel primo gruppo, sono stati inseriti gli uccelli con un areale di nidificazione che per almeno il 50% ricadeva nelle regioni montuose più elevate; appartenevano invece al secondo, le specie in cui almeno il 50% di tutto l’areale di presenza (invernale e di nidificazione) si collocava nelle aree montane dell’Olartico.

 

Figura 1 Sistemi montuosi classificati secondo Kapos et al. (2000) e adattati alla regione Olartica (linea grigia sopra il tropico del Cancro). Le tre classi superiori identificano le aree montane solamente secondo caratteristiche altitudinali (≥ 2500 m) mentre aree montuose al di sotto dei 2500m sono state classificate utilizzando in aggiunta variabili climatiche, topografiche, latitudinali e di uso del suolo.

 

Sulla base di questo approccio è risultato che delle 2316 specie di uccelli nidificanti nella regione Oloartica, 818 (il 35,3%) risultano legate agli ambienti montani. Di queste, 324 sono state riconosciute come “specialiste” e 494 “generaliste”. Dall’inquadramento dell’oggetto di studio della review si è quindi passati alla revisione della letteratura scientifica disponibile. Una ricerca che ha permesso di giungere ad interessanti considerazioni:

  1. I limiti conoscitivi che ancora oggi abbiamo sulle specie montane sono significativi: fatta eccezione per gli studi di modellizzazione della distribuzione, le meta-analisi e le review, solo il 2% delle specie “specialiste” e il 14% di quelle “generaliste” sono stati studiati;
  2. A fronte di una scarsa conoscenza, appare evidente come il cambiamento climatico possa influenzare i tassi di riproduzione e sopravvivenza, i trend di popolazione e la distribuzione di queste specie.
  3. Le conseguenze delle mutazioni climatiche si manifestano sia con effetti diretti sulla fisiologia degli animali (es. lo stress fisiologico osservato nella Pernice coda bianca quando esposta a temperature di 21°C), sia con effetti indiretti legati ai cambiamenti negli habitat, alle alterazioni delle interazioni trofiche o nelle condizioni abiotiche. Gli esiti risultano però molto variabili, con dinamiche contrastanti a seconda della specie e della regione di studio;
  4. Con l’innalzamento della temperatura, l’areale di distribuzione degli uccelli potrebbe estendersi ad aree che non beneficiano di particolari regimi di tutela, sovrapponendosi a zone interessate dallo sviluppo di nuove infrastrutture (es. impianti sciistici) e quindi sottoposte a maggior disturbo.

 

Mosaico di immagini di uccelli montani presenti nella regione Olartica. Foto di: Devin de Zwaan, Davide Scridel, Aleksi Lehikoinen, Enrico Caprio, Giuseppe Bogliani.

 

Altri aspetti emersi dall’analisi della letteratura disponibile comprendono: il ruolo delle aree protette come sistemi in grado di aumentare la resilienza delle specie nei confronti del cambiamento climatico; il ruolo delle attività antropiche nell’influenzare (positivamente o negativamente) la sensibilità delle specie al cambiamento climatico; la necessità di una più stretta collaborazione tra mondo politico e della ricerca per la progettazione di interventi di conservazione efficaci. La stessa review ha anche permesso di tracciare futuri obiettivi per il mondo della ricerca: da una maggior condivisione delle conoscenze tra ricercatori, all’approfondimento degli studi dedicati all’ecologia delle singole specie (tolleranze fisiologiche, necessità ecologiche, risorse trofiche), all’intensificazione delle attività di monitoraggio nelle aree montane, alla comprensione delle relazioni che legano cambiamenti climatici e modificazioni del paesaggio.

 

Mosaico di immagini rappresentative di diverse zone montuose nella regione Olartica. Foto di: Devin de Zwaan, Davide Scridel, Aleksi Lehikoinen, Mattia Brambilla.

 

Ringraziamenti:
Ringraziamo tutti i coautori, Devin de Zwaan e Chiara Fedrigotti che hanno contribuito con commenti, traduzione e foto a questo post. Siamo inoltre riconoscenti a Jeremy Wilson, Paul Donald, James Pearce-Higgins, Thomas G. Gunnarsson e a un revisore anonimo per i preziosi commenti e consigli. Un grazie ad Alessandro Franzoi, Giacomo Assandri, Simone Tenan, Emanuele Rocchia e Frank La Sorte per i consigli. Ringraziamo Bill DeLuca, Fränzi Korner, Jeremy Mizel, Claire Pernollet, Veronika Braunisch, Jaime Resano Mayor and Morgan Tingley per l’aiuto nella meta-analisi. Lo studio è stato finanziato dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento e dal Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino, come parte del programma di dottorato di Davide Scridel. Il lavoro di Matteo Anderle è stato finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento.

 

Per approfondire:

  • Il PDF integrale dell’articolo;
  • Arlettaz, R., Nusslé, S., Baltic, M., Vogel, P., Palme, R., Jenni-Eierman, S., Patthey, P. & Genoud, .M. 2015. Disturbance of wildlife by outdoor winter recreation: allostatic stress response and altered activity-energy budgets. Ecol. Appl. 25: 1197–1212;
  • Brambilla, M., Caprio, E., Assandri, G., Scridel, D., Bassi, E., Bionda, R., Celada, C., Falco, R., Bogliani, G., Pedrini, P., Rolando, A., & Chamberlain, D. 2017. A spatially explicit definition of conservation priorities according to population resistance and resilience, species importance and level of threat in a changing climate. Divers. Distrib. 23: 727–738.
  • Kapos, V., Rhind, J., Edwards, M., Price, M. F. & Ravilious, C. 2000. Developing a map of the world’s mountain forests. In Price, M.F. & Butt, N. (eds) Forests in Sustainable Mountain Development: A State-of-Knowledge Report for 2000: 4–9. Wallingford: CAB International.
  • Lehikoinen, A., Green, M., Husby, M., Kålås, J.A. & Lindström, Å. 2014. Common montane birds are declining in Northern Europe. J. Avian Biol. 45: 3–14.
  • Martin, K., Wilson, S., MacDonald, E.C., Camfield, A.F., Martin, M. & Trefry, S.A. 2017. Effects of severe weather on reproduction for sympatric songbirds in an alpine environment: interactions of climate extremes influence nesting success. Auk 134: 696–709.
  • Potatov, R. 2004. Adaptation of birds to life in high mountains in Eurasia. Acta Zool. Sinica 50: 970–977.
  • Reif, J. & Flousek, J. 2012. The role of species’ ecological traits in climatically driven altitudinal range shifts of central European birds. Oikos 121: 1053–1060.
  • Scridel, D., Bogliani, G., Pedrini, P., Iemma, A., von Hardenberg, A. & Brambilla, M. 2017. Thermal niche predicts recent changes in range size for bird species. Clim. Res. 73: 207–216.

Risale a maggio 2018 la prima segnalazione di geco di Kotschy (Mediodactylus kotschyi, Steindachner, 1870) per la regione Trentino/Alto-Adige. L’animale è stato rinvenuto ad una trentina di chilometri a Nord di Trento, nel comune di Mezzolombardo. Il ritrovamento dell’esemplare, ferito alla coda e ad un arto, è avvenuto nel magazzino di un negozio di vasellame e con ogni probabilità il piccolo rettile ha raggiunto le nostre latitudini proprio attraverso la movimentazione delle merci.

Ad oggi, i dati per la Provincia di Trento hanno evidenziato la presenza di popolazioni vitali appartenenti ad altre 2 specie di gechi: il geco comune (Tarentola mauritanica), diffuso in varie località del Trentino meridionale, e il geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), rilevato solamente presso Riva del Garda.

Il geco di Kotschy ha una distribuzione mediterraneo-orientale, con una presenza che comprende alcune regioni dell’Italia meridionale (in particolare, Puglia e Basilicata) dove si pensa sia stato introdotto in tempi storici dai Balcani (Peracca, 1905). Il suo areale comprende anche le isole del Mar Egeo, i Balcani, l’Anatolia, la Crimea meridionale e gli ambienti mediterranei di Siria, Libano, Giordania, Palestina e Israele (Ščerback, 1997).

Qui l’areale proposto da IUCN:

 

 

Al di fuori dell’areale storico abbiamo segnalazioni relative ad individui/popolazioni per alcune regioni del Nord Italia, relative ad animali giunti per trasporto passivo e ormai acclimatati. È una specie termofila, in buona parte diurna, in grado di colonizzare ambienti naturali secchi e sassosi, così come spazi ad elevata antropizzazione (muretti, pareti domestiche, ruderi ed altre costruzioni). Tra le particolarità di questa specie ricordiamo l’assenza dei dischi adesivi all’apice delle dita, tipici dei gechi, sostituiti nel geco di Kotschy da lunghe unghie arcuate. La mancanza di lamelle (setae) non va però a compromettere le abilità arrampicatorie di questa piccola specie di sauro.

 

Particolare delle dita, prive di lamelle (setae). Ph. Karol Tabarelli de Fatis/Arch MUSE

 

L’osservazione sul geco di Kotschy andrà ad arricchire il database del nuovo progetto «Atlante Anfibi e Rettili del Trentino», al quale tutti sono invitati a partecipare, semplicemente fornendo le proprie osservazioni, come dettagliato qui.

Bibliografia:

  • Caldonazzi M., Pedrini P. & Zanghellini S., (2002). Atlante degli Anfibi e dei Rettili della provincia di Trento. 1987 – 1996 con aggiornamenti al 2001. Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento, 173 pp.
  • Nardelli A., Iversen D., Tabarelli De Fatis K., (2016). Podarcis siculus and Hemidactylus turcicus, new herpetological records from Trentino- Alto Adige region (Italy). Atti XI Congresso Nazionale Societas Herpetologica Italica, Trento 22-25 Settembre 2016.
  • Sindaco R., Doria G., Razzetti E. & Bernini F. (Eds.), (2005). Atlante degli Anfibi e dei Rettili d’Italia / Atlas of Italian Amphibians and Reptiles. Societas Herpetologica Italica, Edizioni Polistampa, Firenze, 791 pp.

A proposito delle recenti osservazioni di storni rosei in Trentino

by Karol Tabarelli de Fatis on

Nel mese di maggio il Trentino, alla stregua di altre regioni italiane (dal Veneto, all’arcipelago delle Tremiti) e Paesi europei (Austria, Svizzera, Francia meridionale, Gran Bretagna, Catalogna), è stato interessato da un appariscente e consistente irruzione di storni rosei – Pastor roseus (Linnaeus, 1758), che per alcuni giorni hanno frequentato gli ambienti dei fondivalle utilizzandoli come siti di alimentazione e roosting (dormitorio).

Qui una visuale sulle segnalazioni giunte dall’Europa Occidentale e raccolte nella piattaforma NaturaList (Biolovision)

Lo storno roseo è una specie che nidifica nelle zone steppiche e semidesertiche dell’Asia centrale fino alla Russia centrale e meridionale. La sua distribuzione europea coincide con la Russia meridionale e il Caucaso, con limitate presenze nelle regioni pianeggianti della Pannonia (Ungheria) e a sud del Danubio, in Bulgaria e Macedonia. In inverno migra verso la penisola indiana e nello Sri Lanka (più limitata la presenza invernale in Penisola Arabica). Irregolari invasioni lo portano in primavera verso occidente (Balcani e Grecia in primo luogo), comparendo talvolta anche nel nostro Paese. Questi spostamenti massicci al di fuori dell’areale tipico della specie prendono il nome di “invasioni” (o, più correttamente, “irruzioni”) e possono portare alla formazione di colonie temporanee.

 

Ca. 200 storni rosei (Pastor roseus) sul cedro che cresce contiguo al campanile della Chiesa di San Pietro in Bosco (Ala, TN). Ph. Karol Tabarelli de Fatis/Arch MUSE

Segnalazioni pregresse in Trentino (in tempi recenti)

La specie è stata osservata nel maggio 2002 presso Riva del Garda (una decina di individui in alimentazione su ciliegio; A. Pallaveri com. pers.) e nello stesso anno, individui di storno roseo si sono visti anche in altre località del nord-est d’Italia.; nel giugno 2003 sono stati avvistati tre esemplari presso la Riserva Naturale del Taio di Nomi (T. Bach Frederiksen). In epoca precedente una segnalazione riguardava invece il vicino Alto Adige (S. Zanghellini, giugno 1995).

Notizie storiche

Althammer (1856a) scrive che lo storno roseo «comparisce irregolarmente. Nelle Giudicarie ne fu ucciso qualcuno del 1853 in Giugno. Nel 1855 ne furono uccisi parecchi nelle vicinanze di Rovereto». Un Anonimo ornitologo trentino (1884) precisa che «se ne vede sempre qualche individuo durante il passaggio autunnale, specialmente nelle Giudicarie». Simili le informazioni fornite dal Bonomi (1884), che scrive: «l’arrivo di questa bellissima specie è assai irregolare, giacché passano molti anni, senza che si veda alcun Storno roseo, e poi comparisce abbondantissimo, ma sempre per pochi giorni. Viene in maggio o giugno, costantemente quando le ciriege son mature». «Di passo straordinario ed assai raro» anche secondo Marchi (1907).

A seguire sono elencate le osservazioni e/o gli abbattimenti di storni rosei segnalati dagli Autori storici:

Maschio adulto catturato presso l’orto del Seminario minore di Trento, da un gruppo di una quindicina di individui (Collezioni MUSE).

  • Vallagarina, presso Rovereto, nel giugno 1888 (Bonomi 1889);
  • Vallunga, presso Rovereto, un forte passaggio nei mesi di aprile e di maggio del 1837, e un esemplare ucciso da un branchetto di 6-7, il 3/6/1895 (Bonomi 1896b);
  • presso Rovereto, Sacco e Isera uno storno di circa 150-200 esemplari, il 4 e il 5/6/1884 (Bonomi 1884);
  • Isera, un esemplare catturato nel 1884 e un secondo, giovane, nel 1885 (Bonomi 1884);
  • Lizzana, segnalatala nidificazione in date sconosciute (Bonomi 1884);
  • Marco, 4 esemplari osservati i primi giorni di giugno del 1899 (Bonomi 1903) e due stormi osservati in volo nella primavera 1908 (Bonomi 1909);
  • Noriglio, uno stormo di circa 15 esemplari, il 20/6/1889 (Bonomi 1889);
  • Val d’Adige, presso Trento, tre esemplari nel 1889 (Bonomi 1891) e tre maschi uccisi da un gruppo di circa 15 il 31/5/1924 (Castelli 1928);
  • Campotrentino, presso Trento, un esemplare ucciso l’8/6/1899 (Bonomi 1903);
  • località Paludi, presso Pergine Valsugana, un esemplare osservato il 3/6/1899 (Bonomi 1903);
  • località Campolongo, presso Tenna in Valsugana, uno storno di 25 esemplari nella primavera 1908 (Bonomi 1909);
  • Alto-Garda, in località Bruttagosto presso Arco, un esemplare catturato il 30/5/1908 (Bonomi 1909);
  • Denno, in Val di Non, una femmina uccisa il 6/6/1908 (Bonomi 1909).
  • Un esemplare catturato il 31/5/1924 a Trento è conservato nelle collezioni del MUSE – Museo delle Scienze.

Bibliografia:

  • Pedrini P., Caldonazzi M., Zanghellini S. (2003). Atlante degli Uccelli nidificanti e svernanti in provincia di Trento. Studi Trentini di Scienze Naturali, Acta Biologica, 80, supplemento 2.
  • Bricchetti P., Fracasso G. (2013). Ornitologia Italiana v. VIII. Perdisa: 36-45.
  • Castelli G. (1928). Catture ornitologiche degne di nota avvenute nel sessennio 1922-1927 nella Venezia Tridentina. Studi Trentini di Scienze Naturali; 9/2: 149-172.
  • Cramp S. et al (1994). Handbook of the Birds of Europe the Middle East and North Africa, The Birds of the Western Paleartic. v. VIII: 269-279.

Webgrafia:

http://www.birdingveneto.eu/roseus/index.htm
http://www.liguriabirding.net/easyNews/NewsLeggi.asp?IDNews=292