Biodiversità

E’ iniziato il monitoraggio dell’ululone dal ventre giallo (Bombina variegata) in Trentino. Si tratta di una specie di interesse conservazionistico, elencata nell’Allegato II della Convenzione di Berna e negli Allegati II e IV della Direttiva “Habitat”. L’attività, avviata nel 2017 nel Parco Locale del Monte Baldo e in Val di Cembra, quest’anno interesserà anche la Val di Non, la Valle del Sarca, l’area Bondone-Soprassasso e la Riserva Naturale della Scanuppia. 132 i siti d’indagine in tutto, distribuiti tra 100 e i 1700 metri di quota, principalmente rappresentati da vasche e raccolte d’acqua in ambiente agricolo e da pozze d’alpeggio.

 

Alcuni dei siti indagati nel corso del monitoraggio

 

3 i metodi di monitoraggio applicati (N.B. Tutte le attività di manipolazione vengono eseguite su specifica autorizzazione del Ministero dell’Ambiente):
1. Conteggi ripetuti;
2. Rimozione;
3. Cattura-marcatura-ricattura;

Nei conteggi ripetuti i ricercatori eseguono per 4 volte il conteggio degli individui avvistati. La ripetizione avviene sempre nello stesso sito, ma in 4 giornate diverse, tra loro ravvicinate. La rimozione comporta invece la cattura temporanea degli animali avvistati e il successivo rilascio nello stesso luogo del ritrovamento nel giro di 30-60 minuti. In questo caso, le sessioni di cattura ripetute sono 3 e vengono eseguite consecutivamente nel corso della stessa giornata, con un intervallo di circa 10 minuti tra una e l’altra. Il metodo della cattura-marcatura-ricattura è basato sul riconoscimento individuale degli animali catturati nel corso di 4 diversi campionamenti eseguite in giornate ravvicinate. Il riconoscimento è reso possibile grazie al rilievo fotografico del pattern ventrale degli ululoni, che rappresenta una sorta di impronta digitale dell’individuo.

 

Il pattern ventrale delle macchie, come un’impronta-digitale, permette il riconoscimento dei singoli animali.

 

Con ciascun animale catturato si procede quindi alla registrazione di una serie di dati: sesso, peso e lunghezza; vengono inoltre prelevati campioni biologici utili a identificare, mediante analisi del DNA, eventuali infestazioni da chitridiomicosi, una parassitosi fungina (Batrachochytryium dendrobatidis è il nome dell’organismo responsabile), che colpisce la “pelle” degli anfibi e che oggi è considerata tra la cause di declino degli anfibi. La conoscenza sulla presenza/assenza del parassita in Provincia e sull’entità di eventuali infestazioni è quindi un requisito fondamentale per la corretta gestione e conservazione della specie. Il prelievo è del tutto innocuo per l’animale ed è effettuato passando un tampone sulla cute.

Parallelamente al conteggio/cattura degli animali, vengono rilevate anche le caratteristiche ambientali dei siti indagati, allo scopo di individuare eventuali elementi in grado di influenzare la distribuzione e l’abbondanza delle popolazioni, evidenziando punti di forza e criticità. Il monitoraggio permetterà di aggiornare i dati sulla distribuzione della specie in Trentino, di effettuare stime del numero di animali presenti e di valutare, nel lungo periodo, trend demografici e fattori che ne regolano l’andamento. Il confronto tra diversi metodi di campionamento permetterà inoltre di sviluppare un protocollo per il monitoraggio della specie nel territorio provinciale al fine di una valutazione robusta sullo stato delle popolazioni, minimizzando gli sforzi di campionamento. Saranno inoltre messi in evidenzia gli elementi naturali e artificiali rilevati sul territorio che permetterebbero, attraverso piccoli interventi di ripristino e/o una corretta gestione, di aumentare la disponibilità di habitat riproduttivi presenti, favorendo la diffusione e la conservazione dell’ululone in Provincia di Trento.

Prosegue la raccolta dati riguardanti il francolino di monte nei territori del Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino. Lo studio, cominciato nel 2015, vede la collaborazione tra Museo delle Scienze di Trento, Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino e Fondazione Edmund Mach, con lo scopo di approfondire biologia, ecologia e uso dell’habitat nel periodo invernale della specie. Una ricerca con caratteri di innovatività, che ricorre a tecniche genetiche non invasive e a moderni metodi statistici.

Il francolino di monte, assieme a gallo cedrone (Tetrao urogallus), fagiano di monte (Lyrurus tetrix) e pernice bianca (Lagopus muta), è una delle quattro specie di tetraonidi che si possono incontrare sull’arco Alpino. Negli ultimi 30 anni, il loro areale di distribuzione ha registrato una forte contrazione con motivazioni di varia natura: le alterazioni ambientali (es. gestione delle foreste, prati, pascoli), il bracconaggio ed i cambiamenti climatici. Tra i quattro tetraonidi, il francolino di monte resta forse il meno conosciuto: la livrea estremamente mimetica, associata ad una spiccata elusività, rendono questa specie particolarmente difficile da studiare.

Ph. Wikimedia Commons


Le ricerche, si sono concentrate in un’area di circa 700 ettari ai piedi del Monte Cimerlo, in Val Canali, a quote comprese tra i 1000 ed i 1700 m. La vegetazione del luogo appare molto diversificata: associazioni di faggio, abete rosso, abete bianco, peccete, laricete, abetine secondarie in fase matura ed ex zone prative a larice. Nelle zone ecotonali fa la sua comparsa il nocciolo, naturalmente presente insieme al sorbo degli uccellatori, al biancospino ed al sorbo montano.
Il materiale biologico destinato all’analisi genetica, consiste in campioni fecali rinvenuti nel periodo invernale lungo transetti lineari. I transetti, distanziati regolarmente l’uno dall’altro sono stati percorsi per 5 volte nel periodo tra dicembre ed aprile, raccogliendo quanti più possibili campioni appartenenti alla specie-target. Altro aspetto importante riguarda lo stoccaggio del materiale biologico campionato, con i pellet (campioni fecali) conservati in apposite provette corredate dai dati riguardanti le coordinate geografiche di ritrovamento, il transetto e la zona di rinvenimento, il numero della visita e l’id. del campione. In aggiunta a questi, al ritrovamento dei pellet si accompagnava la raccolta dei dati topografici e ambientali del sito.

 

A sinistra pista su neve di Francolino di monte (Foto M. Anderle); a destra gruppo di fatte prima di essere raccolte (Foto A. Forti).

 

Molteplici le informazioni che il DNA estratto dai campioni potrebbe fornire, tra queste: identità, sesso e dieta invernale degli individui presenti nell’area studio. Queste stessi dati aprirebbero poi la strada a stime riguardanti la densità della popolazione, home range e uso dello spazio in relazione ai vari habitat presenti tramite metodi di cattura-ricattura spaziale non-invasiva (campioni fecali).

Ringraziamenti: Alessandro Forti e Matteo Anderle che hanno contribuito equamente alla stesura del testo.

Ringraziamo inoltre: Piergiovanni Partel, Enrico Dorigatti, Gilberto Volcan, Roberto Celva, Maurizio Salvadori, Cristiano Vernesi, Barbara Crestanello, Ilaria Fracasso, Paolo Pedrini, Simone Tenan e Chiara Fedrigotti.

«L’incredibile mondo dei gechi» è il titolo della mostra che dal 17 aprile al 1 maggio ha arricchito l’esposizione al piano -1 del MUSE. Con la loro espressione enigmatica, le abitudini curiose e gli incredibili adattamenti, i gechi hanno saputo colonizzare ogni angolo del pianeta: dalle fredde foreste della Nuova Zelanda alle torride distese sabbiose del Sahara, dagli ultimi angoli di natura incontaminata ai muri delle nostre città. 14 esemplari provenienti da tutto il pianeta (Madagascar, Nuova Caledonia, Australia…), per offrire ai visitatori piccole “pillole” naturalistiche sulla vita dei gechi e sensibilizzare il pubblico nei confronti delle tante problematiche che affliggono questi animali: distruzione dell’habitat, urbanizzazione, commercio per la terrariofilia.

 

 

A curare la mostra, in collaborazione con il MUSE, l’Italian Gekko Association (IGA), realtà che raccoglie attorno a sé grandi appassionati di gechi, che operano in diversi settori: dai ricercatori universitari agli allevatori. Ad unirli è il comune obiettivo di informare e di diffondere tra le persone le conoscenze che abbiamo su questo gruppo di specie, contribuendo alla loro conservazione in natura e in cattività. La mostra temporanea ha offerto anche la perfetta cornice per l’Italian Gekko Meeting 2018 – il convegno annuale dell’IGA – di sabato 21 aprile. La giornata, animata da un costante confronto e dibattito, ha visto ricercatori ed esperti avvicendarsi al tavolo dei relatori, toccando diverse tematiche di interesse: tecniche di allevamento, report fotografici, problematiche di conservazione e dinamiche di espansione.

Più che positiva la reazione del pubblico, che con interesse e curiosità si aggirava tra i terrari nel tentativo di avvistare gli animali, nascosti nel loro ambiente. Una partecipazione che ha incoraggiato il museo a prolungare di qualche giorno la mostra, lieto di ospitare nelle sue sale un altro piccolo frammento di biodiversità.