A cura di Franco Rizzolli

Aumentano gli avvistamenti di gipeto in Trentino raccolti dalla rete di monitoraggio provinciale attiva dal 2002.

Da tre anni il numero è in costante crescita, anche se l’incremento più repentino delle osservazioni si è avuto a partire dall’estate scorsa, con sempre più frequenti segnalazioni anche di soggetti potenzialmente riproduttori. Da 11 segnalazioni nel 2015, si è passati a 16 nel 2016, 22 nel 2017 e 29 nel 2018, fino ad arrivare a ben 47 osservazioni nel solo primo trimestre 2019. Gran parte delle osservazioni sono concentrate nel settore nord-occidentale della provincia, in particolare nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio e aree limitrofe. Esso è infatti confinante con l’area che ospita uno dei due nuclei riproduttivi più numerosi delle Alpi, ossia quello delle Alpi centrali italo-svizzere e attualmente costituito da 19 coppie territoriali che nel 2018 hanno allevato 13 giovani.

Sulla sinistra un individuo immaturo, sulla destra un subadulto. Ph. Marco Tasin.

Nel corso degli ultimi mesi in Val di Peio sono stati ripetutamente osservati almeno 3 diversi esemplari immaturi al 2° e 3° anno di età, oltre a 2 soggetti al 5°- 6° anno di età (subadulto o adulto imperfetto). In Val di Rabbi le segnalazioni più recenti riguardano almeno un subadulto e un immaturo. Si tratta di animali che si muovono all’interno di territori molto vasti estesi alcune centinaia di kmq. Ad esempio, uno dei due subadulti segnalati in Val di Peio, riconosciuto grazie ad un esame fotografico delle caratteristiche del piumaggio e della muta, è stato osservato almeno tre volte durante l’ultimo inverno in Val di Viso in territorio bresciano.

Il continuo incremento della popolazione nidificante nelle aree limitrofe e l’elevato numero di avvistamenti rilevati in questi ultimi mesi fa ben sperare per l’insediamento di una coppia territoriale anche in Trentino in un futuro non lontano.

Leggi il PDF per gli ultimi aggiornamenti sulla popolazione alpina di gipeto per l’anno 2018

Il 2019 regala le prime soddisfazioni per gli studenti e ricercatori ospitati dalla Sezione:

Luca Roner ha completato la Laurea Magistrale in Ecologia e Conservazione della Natura presso l’Università di Parma, discutendo la tesi dal titolo Ecologia trofica della salamandra alpina, Salamandra atra atra (Laurenti, 1768). La ricerca ha affrontato per la prima volta l’ecologia trofica della salamandra alpina, specie inserita nell’allegato IV della Direttiva Habitat.
La raccolta dati, avvenuta presso il Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, è stata effettuata con la tecnica dello stomach flushing e con l’utilizzo di trappole a caduta (pitfalls), che hanno fornito dati sulla disponibilità trofica totale e notturna. I dati analizzati hanno permesso di ottenere informazioni sulla strategia trofica e la selettività delle prede nella salamandra alpina, evidenziando inoltre l’importanza della considerazione dell’etologia della specie nella pianificazione della raccolta dati.

 

Salamandra alpina (Salamandra atra atra). Ph. MIchele Chiacchio

 

Davide Scridel ha invece conseguito il Dottorato di Ricerca presso l’Università di Pavia, discutendo la tesi Alpine birds and climate change (Gli uccelli e il cambiamento climatico). La ricerca, quantomai attuale, ha esaminato le evidenze degli impatti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni di avifauna di montagna su scala olartica, in termini di fisiologia, fenologia, interazioni trofiche, demografia e spostamenti di distribuzione osservati e previsti, considerando anche gli effetti di ulteriori fattori che interagiscono con i cambiamenti climatici, inasprendone o attenuandone gli effetti. Altro aspetto di indagine è quello che ha consentito una prima formulazione di una classificazione oggettiva dell’avifauna di montagna in “specialisti” e “generalisti”.
Significativo anche il focus sulla realtà italiana, utilizzata come caso-studio, e per la quale è stata dimostrata l’esistenza di una relazione tra il clima e i cambiamenti nella distribuzione degli uccelli negli ultimi 30 anni Tra le specie meglio approfondite, il fringuello alpino Montifringilla nivalis specie particolarmente sensibile ai cambiamenti climatici e utilizzata come modello al fine di migliorare le attuali conoscenze su biologia, ecologia e aspetti demografici delle specie d’alta quota e chiarire i meccanismi che determinano il declino dell’avifauna di montagna. I numerosi dati raccolti e le informazioni approfondite hanno infine permesso di sviluppare e proporre approcci conservazionistici innovativi per far fronte agli impatti del cambiamento climatico, su larga e piccola scala.

A entrambi vanno le nostre congratulazioni e i migliori auguri per una proficua continuazione delle loro attività.

Fringuello alpino (Montifringilla nivalis). Foto gentilmente concessa da Marco Melotti – Rifugio Bocca di Selva.

 

A cura di M. Genovart, D. Oro, S. Tenan

Per essere in grado di pianificare interventi di conservazione delle popolazioni animali è necessario comprendere il ruolo che i tassi di sopravvivenza, fertilità, immigrazione ed emigrazione hanno sui cambiamenti del numero totale d’individui che compongono una popolazione, cioè sulla dimensione di una popolazione. Sopravvivenza, fertilità, immigrazione ed emigrazione sono detti “parametri demografici” in gergo tecnico. Nel caso di specie longeve, la teoria ecologica e diversi studi empirici supportano l’idea che le variazioni nella dimensione di una popolazione siano fortemente sensibili a variazioni nei tassi di sopravvivenza degli adulti. In altre parole, un calo dei tassi di sopravvivenza degli adulti di specie longeve, con un aumento quindi della loro mortalità, comporterebbe un calo più o meno drastico del numero di individui. Per questo, i tassi di sopravvivenza degli adulti di una popolazione di una specie longeva tendono a rimanere stabili nel tempo, a meno che non intervengano eventi specifici che aumentano la mortalità della porzione adulta della popolazione. Per rendere ancor più complesso il quadro demografico pensiamo inoltre che sopravvivenza, fertilità, immigrazione ed emigrazione cambiano nella stessa specie sia nel tempo che nello spazio (cioè da zona a zona) ma anche a seconda dell’età e del sesso degli individui. In aggiunta, in natura questi fenomeni non sono mai osservabili completamente, cioè per tutti gli individui di una popolazione, data la loro elusività o la limitatezza della scala geografica dello studio rispetto alla scala alla quale i fenomeni agiscono in natura. La porzione di individui che non vengono osservati quando il ricercatore esce in natura può comprendere una o più classi d’età, spesso in relazione a comportamenti età specifici che rendono gli individui più criptici o non visibili agli occhi dei ricercatori. Per esempio, nelle popolazioni di tartarughe marine i maschi restano sempre in mare e non tornano alle spiagge per deporre le uova, come fanno le femmine. In altre specie, come ad esempio uccelli e anfibi, la porzione di individui che non si riproduce risulta difficilmente censibile, perchè gli individui immaturi non si aggregano in siti dove possono essere contati. Diversamente, se pensiamo agli uccelli coloniali come i gabbiani, il numero di coppie riproduttrici può essere relativamente facile da censire se si conosce l’ubicazione delle loro colonie. La parte di individui che invece non riusciamo a censire comprende sia gli individui sessualmente immaturi (che non stanno in colonia con gli adulti) sia gli individui adulti che non si riproducono in un determinato anno per diversi motivi. Nonostante la loro generale prevalenza numerica, l’influenza della parte della popolazione rappresentata dagli individui non riproduttori sulla tendenza di una popolazione ad aumentare o diminuire di dimensione non è quasi mai stata considerata dagli ecologi e biologi della conservazione, proprio a causa della difficoltà di censire questi individui. Paradossalmente quindi, le valutazioni sullo stato di conservazione di una popolazione animale sono generalmente riferite alla sola porzione di individui in riproduzione.

In un recente studio pubblicato sulla rivista internazionale Ecology appartenente alla Ecological Society of America il MUSE ha collaborato ad una ricerca con gli istituti spagnoli IMEDEA – Mediterranean Institute for Advanced Studies e CEAB – Centre for Advanced Studies at Blanes per lo studio della dinamica della popolazione del gabbino corso, Larus audouinii, un uccello marino longevo definito in “pericolo critico” di estinzione tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80. Lo stato di conservazione della specie è stato successivamente ridimensionato a specie a “minor rischio” d’estinzione dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, dopo la formazione di una colonia nel 1981 presso il delta del fiume Ebro in Spagna, colonia che è aumentata esponenzialmente negli anni successivi. Purtroppo questa colonia è collassata, passando dal contenere oltre il 70% della popolazione mondiale nel 2006 a solo il 3% nel 2017. Allo stesso tempo altre zone del mediterraneo sono state colonizzate dalla specie e l’attuale stato di conservazione risulta sconosciuto. Lo studio si è basato su un programma di monitoraggio a lungo termine che ha portato al censimento delle coppie nidificanti negli ultimi 30 anni, insieme alla marcatura di oltre 27000 pulcini con anelli provvisti di un codice visibile a distanza. Una rete di ornitologi amatori e professionisti ha effettuato la lettura degli anelli con cannocchiali e macchine fotografiche, verificando di anno in anno la presenza dei diversi soggetti e ottenendo oltre 63000 riletture.

Ph. Daniel Oro

Lo studio ha evidenziato il ruolo critico della porzione di individui non riproduttori nel condizionare la dinamica, e quindi la vitalità, della popolazione. La porzione meno visibile della popolazione è risultata quindi essere un tassello importante da considerare per valutare lo stato di conservazione di questa specie che ha subito un decremento di più del 5% ogni anno, nell’ultimo decennio. Per questo è stato proposto un aggiornamento e una revisione critica dello stato di conservazione del gabbiano corso, le cui minacce principali sono rappresentate dalla cattura involontaria nelle reti da pesca, la predazione da parti di mammiferi alle colonie, una diminuzione della fertilità, l’aumentata competizione con altre specie e la perdita di ambienti idonei alla nidificazione. Sebbene la specie riesca a colonizzare nuove aree in risposta a fattori di disturbo alle colonie, tale mobilità non sembra compensare il declino della popolazione a livello mondiale. Per questo è necessario assicurare continuità agli studi demografici di lungo termine e all’utilizzo e sviluppo di tecniche avanzate di analisi dei dati che consentano di stimare la porzione di individui in una popolazione che non sono direttamente censibili. Questi infatti possono fungere da ago della bilancia nel bilancio complessivo di una popolazione, influenzando pesantemente la sua vitalità e persistenza negli anni a venire.

Ph. Jan Oro