Entrando nel cuore della stagione invernale, torna il consueto appuntamento con i monitoraggi dedicati agli uccelli acquatici presenti sul territorio provinciale. I rilievi rientrano nel progetto dell’International Waterbird Census (meglio noto come IWC), il programma di monitoraggio ornitologico che dal 1967 coinvolge l’intera Europa, rappresentando uno degli esempi più efficaci e duraturi di collaborazione coordinata tra amministrazioni, musei, enti di ricerca, associazioni, gruppi ornitologici, e un gran numero di birdwatcher e volontari. In Trentino i censimenti sono condotti secondo le direttive impartite dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) e sono coordinati dal Servizio Foreste e fauna della Provincia Autonoma di Trento, con il supporto del MUSE-Museo delle Scienze di Trento.

Quest’anno i censimenti si svolgeranno nelle seguenti date:
Giovedì 10 gennaio – Distretto forestale di Cavalese;
Venerdì 11 gennaio – Distretti forestali di Malé, Tione e Primiero;
Sabato 12 gennaio – Distretti forestali di Borgo Valsugana e Pergine Valsugana;
Giovedì 17 gennaio – Distretto forestale di Cles;
Venerdì 18 gennaio – Distretti forestali di Trento e Rovereto – Riva del Garda.

In ciascuna giornata, squadre di agenti e custodi forestali, affiancate da un collaboratore del MUSE, percorreranno tratti di fiumi e sponde lacustri con binocoli e cannocchiali, con l’obiettivo di contare tutti gli uccelli che sostano durante il periodo invernale sul nostro territorio.
Il censimento interesserà 68 siti, individuati in accordo con le indicazioni del Ramsar Convention Bureau che delineano i parametri di riferimento per la delimitazione di unità ecologiche funzionali allo svernamento di gruppi o di popolazioni di uccelli. Le specie maggiormente censite sono: germano reale, folaga, gabbiano comune, moretta, svasso maggiore, airone cenerino, cormorano, gabbiano reale e moriglione. Può capitare però di incappare anche in qualche specie più rara come: quattrocchi, orco marino, alzavola, tarabuso, airone bianco maggiore, svasso piccolo, porciglione e beccaccino.

Per ulteriori informazioni, vistate il sito: http://www.infs-acquatici.it/index%20iwcItalia.html

Cormorani comuni (Phalacrocorax carbo) e, in basso al centro, folaga (Fulica atra). Ph. Karol Tabarelli de Fatis/Arch. MUSE

I prati da sfalcio (o stabili) sono indubbiamente uno dei tratti più caratteristici del paesaggio di media e bassa quota delle nostre montagne e sono considerati uno degli ecosistemi più biodiversi a scala globale. La loro esistenza è legata a doppio filo con il settore lattiero-caseario e le profonde trasformazioni che lo hanno interessato negli ultimi decenni hanno inevitabilmente generato cambiamenti significativi anche in questo tipo di agroecosistema.
Con l’ammodernamento e l’intensificazione delle pratiche gestionali, spesso favorite dalla Politica Agraria Comune (PAC), sulle Alpi, nel volgere di pochi anni, si è assistito alla trasformazione di prati stabili ricchi di specie e caratterizzati da splendide fioriture, in prati a bassa ricchezza floristica, dominati da poche specie nitrofile e di basso interesse foraggero. Le trasformazioni delle comunità vegetali hanno importanti conseguenze anche per i livelli trofici superiori, impattando su invertebrati e vertebrati, sebbene le evidenze scientifiche su questi ultimi siano meno abbondanti.

Quali siano stati gli effetti di questi cambiamenti sulle comunità di uccelli (qui utilizzati come indicatori biologici) dei prati delle Alpi, e nello specifico del Trentino, è la domanda che ha motivato l’ultima ricerca della Sezione, recentemente pubblicata sulla rivista internazionale di ecologia Journal of Applied Ecology (https://besjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/1365-2664.13332).

Nel corso della ricerca, sono state studiate le comunità di uccelli dei prati da sfalcio in 63 aree campione, scelte come rappresentative dei vari contesti geografici interessati dalla praticoltura nella provincia, a quote comprese fra i 300 e i 1550 m s.l.m.. Contestualmente sono stati raccolti dati ambientali relativi alla composizione e alla struttura del paesaggio, ma anche alla gestione di più di 900 particelle di prato, valutando nello specifico il livello di conversione dei prati in altre colture, il livello di concimazione (utilizzando come misura indiretta lo stato delle comunità vegetali) e la tempistica degli sfalci.

Bigia padovana (Sylvia nisoria). Ph. Giacomo Assandri/ Arch. MUSE.

I risultati evidenziano chiaramente come i paesaggi caratterizzati da un’elevata superficie di prati recentemente convertiti in altre forme colturali ospitino comunità di uccelli dominate da specie generaliste che sostituiscono quelle “specialiste” del prato. Laddove permane il prato stabile, diverse specie sono influenzate dalla data dello sfalcio che, se avviene prima del 20 giugno, riduce il successo riproduttivo di quelle che nidificano a terra nell’erba, rendendo di fatto il prato inospitale per queste specie.
L’elevata concimazione riduce complessivamente il numero di specie di uccelli che si trovano nei prati; infatti, molte specie, anche non specialiste, utilizzano questi ambienti per alimentarsi e risentono probabilmente dell’impoverimento delle comunità di piante e invertebrati tipico dei prati eutrofizzati.

Nelle aree prative del Trentino sono presenti anche alcune specie che non nidificano nell’erba, ma utilizzano elementi strutturali tipici dei paesaggi agrari estensivi, quali siepi e cespugli: tra quelle di particolare pregio conservazionistico ricordiamo l’averla piccola e la bigia padovana. Queste risentono della meccanizzazione della praticoltura, che prevede la rimozione di questi elementi per facilitare sfalci e concimazioni su ampie superfici con l’uso di mezzi agricoli pesanti.

In conclusione, lo studio ha evidenziato come le pratiche agricole e la moderna zootecnia di montagna abbiano perso quel profondo legame con il paesaggio tradizionale e, conseguentemente, con la ricchezza faunistica e floristica che li caratterizzava. Per favorire la biodiversità dei prati montani, nella futura pianificazione e valorizzazione dei territori montani sarebbe importante salvaguardare e favorire quelle microeconomie di nicchia e sostenibili, basate su produzioni casearie locali di alto valore gastronomico – ma anche economico – legate con il paesaggio tradizionale in cui sono radicate e da cui traggono il loro valore identitario, non trascurando l’importanza che queste possono avere anche per altri comparti economici importanti, quali il turismo.

La pre-print dell’articolo è disponibile qui:

La ricerca è stata condotta in collaborazione e co-finanziata dal Servizio Sviluppo Sostenibile e Aree Protette e dal Servizio Politiche Sviluppo Rurale della Provincia Autonoma di Trento, e in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia con la supervisione del prof. Giuseppe Bogliani.

Un anno fa, commentando i numeri record della migrazione 2017, raccomandavamo ai nostri lettori di non abbandonarsi a facili entusiasmi. Il passo era stato abbondante e vario, ma ciò non significava necessariamente “buone notizie” per gli uccelli migratori. E la conferma del nostro prudente giudizio non ha tardato a manifestarsi, poiché in questo 2018 l’intensità della migrazione è stata significativamente inferiore in entrambe le stazioni gestite dal MUSE.

In poco meno di tre mesi trascorsi a Bocca di Caset (Valle di Ledro) abbiamo inanellato quasi 6.700 uccelli, mentre nel mese trascorso al Passo del Brocon (Tesino) gli individui inanellati sono stati poco più di 4.000: rispettivamente 5.300 e 3.000 uccelli in meno rispetto al 2017. Anche la diversità di specie è stata inferiore: 69 a Bocca Caset e 51 al Passo Brocon. Tra i migratori intrapaleartici (che svernano all’interno del bacino del Mediterraneo), il pettirosso è stato l’unico a presentare un andamento in linea con gli anni precedenti, a testimonianza di un generale calo del transito, soprattutto nel periodo tardo estivo fin verso i primi di ottobre.

 

Il fringuello, protagonista della migrazione di ottobre.

Unica eccezione è stato il fringuello, che, nonostante l’inizio ritardato, ha caratterizzato la migrazione ottobrina, transitando in gran numero in entrambi i valichi. Al suo, si è accompagnato poi il passaggio regolare e tipico delle annate di non invasione, dei lucherini. Nel bilancio generale sono mancati i migratori transahariani, tra cui le balie nere, solitamente comuni, ma quest’anno praticamente dimezzate rispetto al 2017. Meno numerose anche le specie nomadiche e invasive, come crociere, cincia mora e frosone. Per Bocca Caset, tuttavia, i grandi assenti sono stati le specie locali e sedentarie (fra le quali anche la civetta capogrosso), che a fronte di una stagione segnata da produttività scarsa non ha fatto registrare il consueto numero di giovani dell’anno nati nei boschi di Tremalzo.
Nonostante il calo numerico, il 2018 ci ha comunque regalato qualche cattura singolare, come l’upupa inanellata il 29 agosto a Bocca di Caset o l’albanella reale e il gufo di palude al Passo del Brocon. Tre sono state anche le ricatture estere: un pettirosso con anello polacco al Brocon e a Caset due lucherini inanellati l’anno precedente sul versante opposto, in Svizzera.

L’upupa di Bocca Caset (Ph. Arch. MUSE) e il gufo di palude del Brocon (Ph. Alvise Luchetta).

 

Una stazione però non è solo il numero di catture…prima ancora è fatta di persone, di relazioni e di collaborazioni. E da questo punto di vista, il 2018 ci ha offerto un quadro decisamente positivo. Le persone che si sono avvicendate nelle due stazioni sono state quasi 90, tra ricercatori, studenti, tirocinanti e appassionati. Più di 1000 i visitatori, che hanno potuto osservare da vicino le nostre attività e sempre più in crescita il numero di persone che ci segue attraverso le pagine ufficiali delle due stazioni (Caset e Brocon) del MUSE.
Una stazione è ricerca, in collaborazione con enti esterni: è il caso dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo, attraverso il campionamento di zecche, ha raccolto nuovi dati per il suo studio dedicato al trasporto aviario di patogeni. Intensa è stata anche l’attività di formazione, rivolta a tesisti, studenti universitari e dell’alternanza scuola-lavoro, agli aspiranti inanellatori e, quest’anno in particolar modo, al personale del Corpo Forestale della PAT.

 

Lucherino con anello svizzero e pettirosso con anello polacco.

 

Un insieme di iniziative e opportunità che danno ulteriore valore ai territori dove si svolgono. Un esser presenti per monitorare sul lungo periodo (abbiamo ormai superato i 25 anni di attività continuativa), supportati dalla rete nazionale del Progetto ALPI e dagli appassionati “locali”, ancora capaci, dopo tutto questo tempo, di meravigliarsi per le quotidiane sorprese. Un’attività possibile, grazie alla disponibilità del MUSE e al coordinamento di ISPRA, sostenitori dell’iniziativa, ma anche grazie ai tanti che ogni anno vi partecipano, rendendola viva e condivisa. A tutti va il nostro ringraziamento e il rinnovato invito a ritrovarci il prossimo anno per proseguire nella raccolta di dati utili alla tutela e alla conservazione delle tante specie che transitano sulle Alpi.

Paolo Pedrini, Alessandro Franzoi, Francesca Rossi e Chiara Fedrigotti

 

Foto immagine in evidenza: reti lungo il crinale al Brocon (Ph. Alvise Luchetta)