Forse non tutti sapete che stiamo per entrare nel terzo anno di collaborazione tra MUSE, Università di Pavia, Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino, Parco Nazionale dello Stelvio, CAI/SAT, Università di Berna e Swiss Ornithological Institute, per approfondire le conoscenze biologiche ed ecologiche del fringuello alpino (Montifringilla nivalis) nella regione alpina.

Individuo adulto di fringuello alpino durante il periodo riproduttivo, identificabile grazie al becco di colore grigio-scuro.

Il fringuello alpino è da considerarsi un vero e proprio specialista dell’alta quota: nidificante quasi esclusivamente al di sopra dei 2000 m, è uno dei pochi vertebrati in grado di sopravvivere per tutto l’anno in questi contesti ed è quindi considerato particolarmente sensibile ai cambiamenti climatici. Come evidenziato in un post precedente (/index.php/2017/09/06/i-cambiamenti-climatici-sono-realta-per-lavifauna-italiana/), specie legate ad ambienti montani freddi hanno subito in Italia contrazioni dell’areale riproduttivo più forti rispetto a specie legate a climi più caldi. A oggi, le conoscenze riguardanti l’ecologia e la biologia di specie legate ad ambienti d’alta quota rimangono piuttosto carenti e dunque il progetto di installare cassette nido per fringuelli alpini sull’arco Alpino rappresenta un’opportunità unica per capire meglio come specie legate ad ambienti freddi stiano rispondendo alle alterazioni climatiche. Le cassette nido, al momento collocate presso il Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino e Parco Nazionale dello Stelvio, hanno diversi risvolti applicativi: dall’offrire siti alternativi di nidificazione, a facilitare ai ricercatori l’altrimenti difficile raccolta di variabili demografiche come il numero di uova, il numero di pulcini e il periodo d’involo in rapporto ad alterazioni climatiche.

Nido naturale sull’altopiano delle Pale di San Martino. In alto a destra particolare dell’ingresso al nido (Foto: Matteo Anderle).

Affittasi bilocale…riproduttivo
I fringuelli alpini nidificanti presso il Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino e Parco Nazionale dello Stelvio si riproducono generalmente tra maggio e giugno (prima di due potenziali covate stagionali) a quote che vanno dai 1900 m ai 3000 m s.l.m.. I nidi vengono costruiti in contesti sia “naturali” che antropici. Nel primo caso, i nidi trovati sono generalmente collocati su alte pareti rocciose dentro buchi, fessure, crepe e cenge di modesta dimensione, difficilmente raggiungibili dai predatori. In altri casi la specie può nidificare in cavità artificiali sui rifugi alpini, in vecchie strutture abbandonate e persino su tralicci degli impianti di risalita sciistica. Nel 2016 sono state installate 21 cassette nido nel Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino e 20 nel Parco Nazionale dello Stelvio; dato il successo nell’occupazione delle cassette da parte della specie, l’anno successivo sono state aggiunte ulteriori 11 cassette nido.

La cassetta nido è composta da 2 stanze: un’anticamera ed una seconda camera all’interno della quale viene solitamente costruito il nido, composto perlopiù da erba e materiali isolanti quali pelo, piume della specie stessa o di altre specie d’alta quota come ad esempio la pernice bianca (Lagopus muta). Tutte le cassette sono state posizionate a un’altezza di almeno 2 metri, su strutture quali rifugi, baite o ruderi presenti all’interno dell’habitat riproduttivo potenziale. Nell’estate del 2017, dopo un solo anno dall’installazione, 11 cassette su 41 sono state trovate occupate, 5 da codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros) e 6 da fringuello alpino. Sebbene il tasso di occupazione sia ancora relativamente basso, ci si attende un suo graduale incremento associato all’aumentare del numero di cassette disponibili e della confidenza della specie verso di esse.

Cassette nido installate nel Parco Naturale di Paneveggio – Pale di San Martino e nel Parco Nazionale delle Stelvio. Nella foto di destra si noti il nido, costruito nella seconda camera, con all’interno alcuni pulli di fringuello alpino.

Nei casi di avvenuta nidificazione, le coppie di fringuelli alpini sono state monitorate nel corso dell’intero periodo riproduttivo per approfondirne l’etologia e l’ecologia. Gli studi, svolti grazie al supporto dei tesisti Giulia Masiero e Marica Bazzanella (Università di Padova), hanno permesso di valutare la selezione dell’habitat frequentato per la ricerca del cibo da portare ai nidiacei.

I risultati preliminari suggeriscono una preferenza per prati, macchie di neve e margini in scioglimento tra neve ed erba, dove gli adulti possono reperire una buona densità di invertebrati. Inoltre è stato evidenziato che la selezione delle chiazze di neve aumenta al diminuire della copertura erbosa, dunque popolazioni di fringuelli alpini legati ad habitat prevalentemente rocciosi sarebbero più a rischio a causa dello scioglimento delle nevi e la conseguente scomparsa di habitat di foraggiamento favorevoli rispetto a popolazioni il cui habitat è composto da altri ambienti (es. praterie) che offrono risorse trofiche alternative, sottolineando come i cambiamenti climatici influiscano in maniera disomogenea su habitat e popolazioni.

Operazione di inanellamento dei pulli di fringuello alpino ormai prossimi all’involo (Foto: Alessandro Forti).

 

 

Ringraziamenti: Alessandro Forti, Mattero Anderle, Federico Capelli, Simone Tenan, Mattia Brambilla, Giuseppe Bogliani, Paolo Pedrini, Piergiovanni Partel, Luca Pedrotti, Enrico Bassi, Eliseo Strinella, Fernando Spina, Luca Volponi, Severino Vitulano, Alessandro Franzoi, Aaron Iemma, Francesca Rossi, Karol Tabarelli de Fatis, Emilio Coser per il video.

Per la foto di copertina si ringrazia Marco Melotti (Rifugio Bocca di Selva).

Per approfondire:
Brambilla, M., Cortesi, M., Capelli, F., Chamberlain, D., Pedrini, P., & Rubolini, D. (2017). Foraging habitat selection by Alpine White-winged Snowfinches Montifringilla nivalis during the nestling rearing period. Journal of Ornithology, 158(1), 277-286.

  • Brambilla M., Caprio E., Assandri G., Scridel D., Bassi E., Bionda R., Celada C., Falco R., Bogliani G., Pedrini P., Rolando A., Chamberlain (2017). A spatially explicit definition of conservation priorities according to population resistance and resilience, species importance and level of threat in a changing climate. Diversity and Distributions, 23: 727-738.
  • Scridel D., Bogliani G., Pedrini P., Iemma A., von Hardenberg A., Brambilla M. (2017) Thermal niche predicts recent changes in range size for bird species. Climate Research 73:207-216.

International Waterbird Census

I Censimenti degli Uccelli acquatici svernanti (IWC, International Waterbird Census) nelle zone umide europee rappresentano uno degli esempi di collaborazione coordinata più significativi per il monitoraggio ornitologico. Sono una testimonianza di impegno e partecipazione e, come dimostrano le molte pubblicazioni curate a livello regionale e nazionale, costituiscono una preziosa fonte di informazioni a fini conservazionistici e gestionali.

Gli IWC, come per brevità vengono spesso chiamati questi censimenti, si svolgono a scala europea dal 1967. Nel nostro Paese sono stati avviati nel 1975 dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste, con l’iniziale collaborazione dell’allora International Waterfowl Research Bureau (IWRB), oggi Wetland International, un’organizzazione senza fini di lucro che si è fatta carico di tale iniziativa. Dal 1985 questi censimenti sono coordinati per l’Italia dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ISPRA (l’ex-INFS, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) e sono condotti in tutte le regioni grazie alla collaborazione e sostegno di amministrazioni, musei ed altri enti di ricerca, associazioni e gruppi ornitologici locali e al coinvolgimento un considerevole numero dei birdwatcher e volontari ad essi associati.

I primi risultati a scala nazionale risalgono agli anni Settanta e sono contenuti in Chelini (1977, 1981) e in Boldreghini et al. (1978); successivi aggiornamenti, relativi al periodo 1982-85, sono riportati in Focardi & Spina (1986), e per gli anni Novanta in Serra et al. (1997) e Baccetti et al. (2002). Molte nel contempo sono state le pubblicazioni grazie alle quali oggi è possibile avere un dettaglio ulteriore delle presenze degli Uccelli acquatici svernanti anche a scala regionale e/o provinciale.

Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus), Marangone minore (Microcarbo pygmeus), Garzetta (Egretta garzetta) – Ph. Karol Tabarelli de Fatis/Arch.MUSE

 

IWC in Trentino

I censimenti sono condotti seguendo i criteri indicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’ente preposto all’organizzazione dei conteggi in Italia. Dal 1996, i censimenti provinciali sono coordinati dal Servizio Foreste e fauna (SFf) della Provincia Autonoma di Trento (PAT), che con il lavoro del proprio personale e la collaborazione della Sezione di Zoologia dei Vertebrati del Museo Tridentino di Scienze Naturali (oggi MUSE – Museo delle Scienze) garantisce il rilevamento, l’archiviazione e successiva trasmissione dei dati all’ISPRA. Come da protocollo generale, i conteggi IWC si effettuano nel periodo centrale dell’inverno, a metà gennaio, quando i movimenti entro l’area di svernamento sono verosimilmente limitati anche se, alle nostre latitudini, spostamenti verso i siti riproduttivi sono possibili già a gennaio (Dell’Antonia et al. 1996) e movimenti anticipati non sono improbabili, specie se in concomitanza con eventi climatici particolari (Elkin 1988).

In Trentino, solo dal 2000 i conteggi IWC coprono tutte le aree e i siti proposti in Baccetti & Serra (1994) e Baccetti et al. (2002). I rilevamenti vengono effettuati da squadre coordinate dalle Stazioni forestali e composte dallo stesso personale forestale, ornitologi del Museo e molti appassionati birdwatcher che aderiscono volontariamente all’iniziativa. Nel corso degli anni, per migliorare le affidabilità dei rilevamenti e l’abilità nel riconoscere le specie, sono stati organizzati corsi di formazione e di aggiornamento dedicati al personale di sorveglianza e ai partecipanti ai censimenti. Dal 2002, secondo indicazioni ISPRA, le squadre operanti nelle diverse zone sono affiancate anche da specifici referenti, abilitati attraverso un test sostenuto presso lo stesso Istituto. I dati, inviati all’Ufficio Faunistico della PAT dai referenti di stazione, prima di essere inviati alla sede centrale, sono controllati da personale qualificato dell’Ufficio e del Museo. Ulteriori successivi controlli con i referenti ISPRA garantiscono infine l’eliminazione di eventuali presenze dubbie nel database. Le specie oggetto dei censimenti appartengono alla categoria arbitraria degli “uccelli acquatici”. Nei censimenti vengono monitorate anche specie di Falconiformi associate ecologicamente alle zone umide e quindi considerate come uccelli acquatici dalla Convenzione di Ramsar: tra questi rientrano alcuni rapaci diurni quali il falco di palude (Circus aeruginosus) e l’albanella reale (Circus cyaneus).

Moretta codona (Clangula hyemalis), Airone guardabuoi (Bubulcus ibis), Gabbiano reale (Larus michahellis), Gabbiano reale nordico (Larus argentatus) – Ph. Karol Tabarelli de Fatis/Arch.MUSE

 

Clicca qui per scaricare GLI UCCELLI ACQUATICI SVERNANTI IN TRENTINO – Sintesi dei censimenti IWC (2000-2009) .

 

Bibliografia citata:

Chelini A., 1977 – L’importanza dei censimenti della ornitofauna palustre e le tecniche di rilevamento. XXIV Rassegna Internazionale Elettronica Nucleare ed Areospaziale, Roma.

Chelini A., 1981 – Ulteriori considerazioni sui censimenti degli anseriformi e delle folaghe svernanti in Italia: In: Farina A. (ed.), Atti I Conv. ital. Orn., Alula, 1981: 47-49.

Boldreghini P., Chelini A. & Spagnesi M., 1978 – Prime considerazioni sui risultati dei censimenti invernali degli Anseriformi e della Folaga in Italia (1975-77). Atti II Convegno Siciliano di Ecologia. Noto: 159-167.

Focardi S. & Spina F., 1986 – Rapporto sui censimenti invernali degli Anatidi e della Folaga in Italia (1982-1985). I.N.B.S., Documenti Tecnici, 2, 80 pp.

Serra L., Magnani A., Dall’Antonia P. & Baccetti N., 1997 – Risultati dei censimenti degli uccelli acquatici svernanti in Italia, 1991-1995. Biol. Cons. Fauna, 101, 312 pp.

Baccetti N., Dell’Antonia P., Magagnoli P., Melega L., Serra L., Soldatini C., Zenatello M., 2002 – Risultati dei censimenti degli uccelli acquatici in Italia: distribuzione, stima e trend delle popolazioni nel 1991-2000. Biol. Cons. Fauna, 111, 240 pp.

Dall’Antonia P., Mantovani R. & Spina F., 1996 – Fenologia della migrazione di alcune specie di uccelli acquatici attraverso l’Italia. Ric. Biol. Selvaggina, 98, 72 pp.

Elkins N., 1988 – Weather and Bird Behaviour. Waterhouses, Poyser, 239 pp.

Il Torcicollo, un picchio singolare

Il Torcicollo, Jynx torquilla, è l’unico rappresentante europeo della sua famiglia, quella dei picchi, a non scavare attivamente le cavità dove nidifica, ma ad utilizzare cavità scavate da altri, o artificiali. È inoltre l’unica specie che compie movimenti migratori a lungo raggio, che portano una parte consistente delle sue popolazioni paleartiche a svernare a Sud del Sahara. Con altre specie di picchi, ad esempio il Picchio verde, condivide invece la dieta, principalmente basata su formiche prelevate al suolo.
L’abitudine di nidificare in cavità (soprattutto di vecchi alberi) e di passare molto tempo a terra, hanno probabilmente determinato l’evoluzione di un piumaggio spiccatamente mimetico, marrone-grigiastro screziato di bruno scuro, che rende spesso difficoltosa la sua individuazione, a meno di udirne il singolare e monotono “canto”: un lamentoso keeekeeekeeekeee ripetuto a intervalli regolari da un posatoio elevato, soprattutto in marzo-aprile, all’inizio della stagione riproduttiva.

Un torcicollo nei vigneti intensivi della Valle dell’Adige. Foto G. Assandri

Anche il suo nome curioso merita una spiegazione: si rifà, infatti, al particolare comportamento anti-predatorio, comune ad adulti e pulcini, caratterizzato da sinuosi movimenti del lungo collo, che possono ricordare i movimenti di un serpente (il video è stato ripreso durante le attività di inanellamento a scopo scientifico a Bocca di Caset/Video Arch. MUSE).

Un tempo comune e diffuso, il torcicollo è oggi un uccello seriamente minacciato in gran parte d’Europa. Nel nostro Paese si è rarefatto o è addirittura scomparso da ampie porzioni di territorio dove un tempo era abbondante ed è pertanto considerato “in pericolo” nella Lista Rossa Nazionale.
I ricercatori europei si interrogano da tempo sulle cause del suo declino, ma ancora oggi queste non sono state del tutto comprese. Sicuramente, la notevole intensificazione dell’agricoltura in Europa, che ha determinato la scomparsa di grossi alberi isolati e dei tradizionali frutteti ad alto fusto, che la specie utilizza per nidificare, e degli ambienti marginali, dove la specie si alimenta, sono fra le cause principali, insieme all’intensificazione della gestione forestale e a un possibile impatto dei cambiamenti climatici.

Uno studio sul Torcicollo in Trentino

Durante le ricerche portate avanti dalla Sezione di Zoologia dei Vertebrati nei vigneti del Trentino, è stato sorprendente scoprire come il torcicollo fosse relativamente abbondante e ben distribuito in questi ambienti, anche in quelli più intensivi, nonostante l’apparente penuria di adeguati siti di nidificazione. Per provare a capire come questo fosse possibile, la specie è stata oggetto di uno specifico progetto di ricerca, portato avanti tra 2015 e 2016, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista internazionale di ornitologia Journal of Ornithology (l’articolo originale, scelto come highlight paper del mese si può leggere integralmente qui).
Lo studio ha evidenziato come la specie tenda a selezionare vigneti a pergola (rispetto a quelli a spalliera) con un elevato numero di “estremità di tubo”. I tubi sono le travi portanti del pergolato e appaiono come condotte di metallo cave, alla cui estremità si aprono fori di 7-8 cm, che sorprendentemente il torcicollo visita regolarmente nella fase di esplorazione delle cavità che precede la deposizione. Tali tubi sono più abbondanti nei vigneti moderni, tipici delle aree a viticultura intensiva, mentre nei vigneti più antichi le travi sono generalmente in legno. Ciò, paradossalmente, determina una maggiore frequenza del torcicollo nelle aree a viticultura intensiva del Trentino, piuttosto che in quelle più estensive, dove sarebbe normale aspettarselo.

A. Le travi metalliche cave, le cui estremità (particolare) sono talvolta utilizzate dal torcicollo per nidificare, tuttavia senza successo. B. I corrispettivi in legno, tipici delle aree meno intensive delle aree vitate trentine. Foto G. Assandri.

Ma come può un animale, per quanto di ridotte dimensioni, portare a termine la riproduzione in un sito così poco naturale e così diverso da quelli in cui è solito nidificare?
Per rispondere a questo quesito nel 2016 sono stati controllati due volte più di 3000 estremità di tubo (oltre a 18 cassette nido artificiali presenti nell’area) con l’ausilio di un sensore ottico con microcamera. I risultati di tale indagine sono stati sorprendenti e preoccupanti al tempo stesso: su più di 3000 estremità di tubo ispezionate, complessivamente sono state individuate solo sei nidificazioni, tutte abbandonate nella fase di deposizione delle uova, traducendosi quindi in nemmeno un giovane involato! Al contrario, le sole 18 cassette nido presenti nell’area di studio hanno ospitato sette covate, con un buon tasso di involo (36%).

Tre uova di torcicollo deposte all’interno di un tubo, probabilmente già abbandonate al momento del ritrovamento. Foto A. Bernardi.

Come si possono interpretare questi risultati?
Sebbene i tubi possano rappresentare un’attrattiva per il torcicollo nelle prime fasi di assestamento dei territori, complessivamente si sono dimostrati essere siti di nidificazione inadeguati per la specie, dal momento che lo spazio al loro interno è estremamente ridotto e, come è emerso nello studio, le loro temperature interne sono in media 10°C superiori a quelle ambientali, con frequenti picchi di oltre 40°C. Pochi individui (forse i più anziani, o i dominanti) nidificano di conseguenza con successo nelle pochissime cassette nido disponibili, mentre gli altri sono destinati a spostarsi o a non nidificare.
Tale quadro suggerirebbe che i vigneti intensivi del Trentino, in mancanza di cavità naturali o nidi artificiali, rappresentino una trappola ecologica per il torcicollo, confermando ancora una volta l’ipotesi secondo cui l’agricoltura intensiva è verosimilmente una delle principali cause di declino della specie in Europa.
Una possibile mitigazione del problema consisterebbe nel fornire cassette nido alla specie, sebbene un’azione di conservazione di questo tipo andrebbe preventivamente sperimentata su aree campione per valutare se l’ambiente antropico rappresentato dal vigneto fornisca al torcicollo risorse trofiche sufficienti all’allevamento della prole.

Un torcicollo posato all’estremità di una trave metallica in un vigneto trentino. Acquerello originale di Gaia Bazzi.