A cura di M. Genovart, D. Oro, S. Tenan

Per essere in grado di pianificare interventi di conservazione delle popolazioni animali è necessario comprendere il ruolo che i tassi di sopravvivenza, fertilità, immigrazione ed emigrazione hanno sui cambiamenti del numero totale d’individui che compongono una popolazione, cioè sulla dimensione di una popolazione. Sopravvivenza, fertilità, immigrazione ed emigrazione sono detti “parametri demografici” in gergo tecnico. Nel caso di specie longeve, la teoria ecologica e diversi studi empirici supportano l’idea che le variazioni nella dimensione di una popolazione siano fortemente sensibili a variazioni nei tassi di sopravvivenza degli adulti. In altre parole, un calo dei tassi di sopravvivenza degli adulti di specie longeve, con un aumento quindi della loro mortalità, comporterebbe un calo più o meno drastico del numero di individui. Per questo, i tassi di sopravvivenza degli adulti di una popolazione di una specie longeva tendono a rimanere stabili nel tempo, a meno che non intervengano eventi specifici che aumentano la mortalità della porzione adulta della popolazione. Per rendere ancor più complesso il quadro demografico pensiamo inoltre che sopravvivenza, fertilità, immigrazione ed emigrazione cambiano nella stessa specie sia nel tempo che nello spazio (cioè da zona a zona) ma anche a seconda dell’età e del sesso degli individui. In aggiunta, in natura questi fenomeni non sono mai osservabili completamente, cioè per tutti gli individui di una popolazione, data la loro elusività o la limitatezza della scala geografica dello studio rispetto alla scala alla quale i fenomeni agiscono in natura. La porzione di individui che non vengono osservati quando il ricercatore esce in natura può comprendere una o più classi d’età, spesso in relazione a comportamenti età specifici che rendono gli individui più criptici o non visibili agli occhi dei ricercatori. Per esempio, nelle popolazioni di tartarughe marine i maschi restano sempre in mare e non tornano alle spiagge per deporre le uova, come fanno le femmine. In altre specie, come ad esempio uccelli e anfibi, la porzione di individui che non si riproduce risulta difficilmente censibile, perchè gli individui immaturi non si aggregano in siti dove possono essere contati. Diversamente, se pensiamo agli uccelli coloniali come i gabbiani, il numero di coppie riproduttrici può essere relativamente facile da censire se si conosce l’ubicazione delle loro colonie. La parte di individui che invece non riusciamo a censire comprende sia gli individui sessualmente immaturi (che non stanno in colonia con gli adulti) sia gli individui adulti che non si riproducono in un determinato anno per diversi motivi. Nonostante la loro generale prevalenza numerica, l’influenza della parte della popolazione rappresentata dagli individui non riproduttori sulla tendenza di una popolazione ad aumentare o diminuire di dimensione non è quasi mai stata considerata dagli ecologi e biologi della conservazione, proprio a causa della difficoltà di censire questi individui. Paradossalmente quindi, le valutazioni sullo stato di conservazione di una popolazione animale sono generalmente riferite alla sola porzione di individui in riproduzione.

In un recente studio pubblicato sulla rivista internazionale Ecology appartenente alla Ecological Society of America il MUSE ha collaborato ad una ricerca con gli istituti spagnoli IMEDEA – Mediterranean Institute for Advanced Studies e CEAB – Centre for Advanced Studies at Blanes per lo studio della dinamica della popolazione del gabbino corso, Larus audouinii, un uccello marino longevo definito in “pericolo critico” di estinzione tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80. Lo stato di conservazione della specie è stato successivamente ridimensionato a specie a “minor rischio” d’estinzione dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, dopo la formazione di una colonia nel 1981 presso il delta del fiume Ebro in Spagna, colonia che è aumentata esponenzialmente negli anni successivi. Purtroppo questa colonia è collassata, passando dal contenere oltre il 70% della popolazione mondiale nel 2006 a solo il 3% nel 2017. Allo stesso tempo altre zone del mediterraneo sono state colonizzate dalla specie e l’attuale stato di conservazione risulta sconosciuto. Lo studio si è basato su un programma di monitoraggio a lungo termine che ha portato al censimento delle coppie nidificanti negli ultimi 30 anni, insieme alla marcatura di oltre 27000 pulcini con anelli provvisti di un codice visibile a distanza. Una rete di ornitologi amatori e professionisti ha effettuato la lettura degli anelli con cannocchiali e macchine fotografiche, verificando di anno in anno la presenza dei diversi soggetti e ottenendo oltre 63000 riletture.

Ph. Daniel Oro

Lo studio ha evidenziato il ruolo critico della porzione di individui non riproduttori nel condizionare la dinamica, e quindi la vitalità, della popolazione. La porzione meno visibile della popolazione è risultata quindi essere un tassello importante da considerare per valutare lo stato di conservazione di questa specie che ha subito un decremento di più del 5% ogni anno, nell’ultimo decennio. Per questo è stato proposto un aggiornamento e una revisione critica dello stato di conservazione del gabbiano corso, le cui minacce principali sono rappresentate dalla cattura involontaria nelle reti da pesca, la predazione da parti di mammiferi alle colonie, una diminuzione della fertilità, l’aumentata competizione con altre specie e la perdita di ambienti idonei alla nidificazione. Sebbene la specie riesca a colonizzare nuove aree in risposta a fattori di disturbo alle colonie, tale mobilità non sembra compensare il declino della popolazione a livello mondiale. Per questo è necessario assicurare continuità agli studi demografici di lungo termine e all’utilizzo e sviluppo di tecniche avanzate di analisi dei dati che consentano di stimare la porzione di individui in una popolazione che non sono direttamente censibili. Questi infatti possono fungere da ago della bilancia nel bilancio complessivo di una popolazione, influenzando pesantemente la sua vitalità e persistenza negli anni a venire.

Ph. Jan Oro

Entrando nel cuore della stagione invernale, torna il consueto appuntamento con i monitoraggi dedicati agli uccelli acquatici presenti sul territorio provinciale. I rilievi rientrano nel progetto dell’International Waterbird Census (meglio noto come IWC), il programma di monitoraggio ornitologico che dal 1967 coinvolge l’intera Europa, rappresentando uno degli esempi più efficaci e duraturi di collaborazione coordinata tra amministrazioni, musei, enti di ricerca, associazioni, gruppi ornitologici, e un gran numero di birdwatcher e volontari. In Trentino i censimenti sono condotti secondo le direttive impartite dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) e sono coordinati dal Servizio Foreste e fauna della Provincia Autonoma di Trento, con il supporto del MUSE-Museo delle Scienze di Trento.

Quest’anno i censimenti si svolgeranno nelle seguenti date:
Giovedì 10 gennaio – Distretto forestale di Cavalese;
Venerdì 11 gennaio – Distretti forestali di Malé, Tione e Primiero;
Sabato 12 gennaio – Distretti forestali di Borgo Valsugana e Pergine Valsugana;
Giovedì 17 gennaio – Distretto forestale di Cles;
Venerdì 18 gennaio – Distretti forestali di Trento e Rovereto – Riva del Garda.

In ciascuna giornata, squadre di agenti e custodi forestali, affiancate da un collaboratore del MUSE, percorreranno tratti di fiumi e sponde lacustri con binocoli e cannocchiali, con l’obiettivo di contare tutti gli uccelli che sostano durante il periodo invernale sul nostro territorio.
Il censimento interesserà 68 siti, individuati in accordo con le indicazioni del Ramsar Convention Bureau che delineano i parametri di riferimento per la delimitazione di unità ecologiche funzionali allo svernamento di gruppi o di popolazioni di uccelli. Le specie maggiormente censite sono: germano reale, folaga, gabbiano comune, moretta, svasso maggiore, airone cenerino, cormorano, gabbiano reale e moriglione. Può capitare però di incappare anche in qualche specie più rara come: quattrocchi, orco marino, alzavola, tarabuso, airone bianco maggiore, svasso piccolo, porciglione e beccaccino.

Per ulteriori informazioni, vistate il sito: http://www.infs-acquatici.it/index%20iwcItalia.html

Cormorani comuni (Phalacrocorax carbo) e, in basso al centro, folaga (Fulica atra). Ph. Karol Tabarelli de Fatis/Arch. MUSE

I prati da sfalcio (o stabili) sono indubbiamente uno dei tratti più caratteristici del paesaggio di media e bassa quota delle nostre montagne e sono considerati uno degli ecosistemi più biodiversi a scala globale. La loro esistenza è legata a doppio filo con il settore lattiero-caseario e le profonde trasformazioni che lo hanno interessato negli ultimi decenni hanno inevitabilmente generato cambiamenti significativi anche in questo tipo di agroecosistema.
Con l’ammodernamento e l’intensificazione delle pratiche gestionali, spesso favorite dalla Politica Agraria Comune (PAC), sulle Alpi, nel volgere di pochi anni, si è assistito alla trasformazione di prati stabili ricchi di specie e caratterizzati da splendide fioriture, in prati a bassa ricchezza floristica, dominati da poche specie nitrofile e di basso interesse foraggero. Le trasformazioni delle comunità vegetali hanno importanti conseguenze anche per i livelli trofici superiori, impattando su invertebrati e vertebrati, sebbene le evidenze scientifiche su questi ultimi siano meno abbondanti.

Quali siano stati gli effetti di questi cambiamenti sulle comunità di uccelli (qui utilizzati come indicatori biologici) dei prati delle Alpi, e nello specifico del Trentino, è la domanda che ha motivato l’ultima ricerca della Sezione, recentemente pubblicata sulla rivista internazionale di ecologia Journal of Applied Ecology (https://besjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/1365-2664.13332).

Nel corso della ricerca, sono state studiate le comunità di uccelli dei prati da sfalcio in 63 aree campione, scelte come rappresentative dei vari contesti geografici interessati dalla praticoltura nella provincia, a quote comprese fra i 300 e i 1550 m s.l.m.. Contestualmente sono stati raccolti dati ambientali relativi alla composizione e alla struttura del paesaggio, ma anche alla gestione di più di 900 particelle di prato, valutando nello specifico il livello di conversione dei prati in altre colture, il livello di concimazione (utilizzando come misura indiretta lo stato delle comunità vegetali) e la tempistica degli sfalci.

Bigia padovana (Sylvia nisoria). Ph. Giacomo Assandri/ Arch. MUSE.

I risultati evidenziano chiaramente come i paesaggi caratterizzati da un’elevata superficie di prati recentemente convertiti in altre forme colturali ospitino comunità di uccelli dominate da specie generaliste che sostituiscono quelle “specialiste” del prato. Laddove permane il prato stabile, diverse specie sono influenzate dalla data dello sfalcio che, se avviene prima del 20 giugno, riduce il successo riproduttivo di quelle che nidificano a terra nell’erba, rendendo di fatto il prato inospitale per queste specie.
L’elevata concimazione riduce complessivamente il numero di specie di uccelli che si trovano nei prati; infatti, molte specie, anche non specialiste, utilizzano questi ambienti per alimentarsi e risentono probabilmente dell’impoverimento delle comunità di piante e invertebrati tipico dei prati eutrofizzati.

Nelle aree prative del Trentino sono presenti anche alcune specie che non nidificano nell’erba, ma utilizzano elementi strutturali tipici dei paesaggi agrari estensivi, quali siepi e cespugli: tra quelle di particolare pregio conservazionistico ricordiamo l’averla piccola e la bigia padovana. Queste risentono della meccanizzazione della praticoltura, che prevede la rimozione di questi elementi per facilitare sfalci e concimazioni su ampie superfici con l’uso di mezzi agricoli pesanti.

In conclusione, lo studio ha evidenziato come le pratiche agricole e la moderna zootecnia di montagna abbiano perso quel profondo legame con il paesaggio tradizionale e, conseguentemente, con la ricchezza faunistica e floristica che li caratterizzava. Per favorire la biodiversità dei prati montani, nella futura pianificazione e valorizzazione dei territori montani sarebbe importante salvaguardare e favorire quelle microeconomie di nicchia e sostenibili, basate su produzioni casearie locali di alto valore gastronomico – ma anche economico – legate con il paesaggio tradizionale in cui sono radicate e da cui traggono il loro valore identitario, non trascurando l’importanza che queste possono avere anche per altri comparti economici importanti, quali il turismo.

La pre-print dell’articolo è disponibile qui:

La ricerca è stata condotta in collaborazione e co-finanziata dal Servizio Sviluppo Sostenibile e Aree Protette e dal Servizio Politiche Sviluppo Rurale della Provincia Autonoma di Trento, e in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia con la supervisione del prof. Giuseppe Bogliani.