A cura di Pietro Luciani

Gli sport invernali e lo sci in particolare sono diventati molto popolari e la loro diffusione non accenna a rallentare. La pratica di questi sport necessita di grandi aree appositamente preparate e mantenute, le piste da sci, che richiedono numerosi interventi da parte dell’uomo, quasi sempre in contrasto con piante e animali locali. Questi tracciati infatti vengono creati in zone montane che solitamente sono occupate da habitat naturali che vengono eliminati o frammentati per fare spazio alle piste. A subirne le conseguenze sono quindi la flora e la fauna locali. Questi effetti sono stati studiati e sono in corso di analisi per numerose specie alpine, tra cui soprattutto mammiferi, insetti e uccelli. Nonostante gli impatti generalmente negativi, alcune specie riescono a coesistere con le piste da sci e, talvolta, a trarne vantaggio: scarti di cibo umano, nuovi siti riproduttivi, facile cattura delle prede possono favorire alcune specie.

Con questo lavoro si è indagato l’effetto delle piste sul fringuello alpino, una specie strettamente legata alle alte quote che talvolta nidifica all’interno dei piloni degli impianti di risalita. La domanda da cui siamo partiti è stata “Qual è l’effetto delle piste da sci sulla selezione dell’habitat di alimentazione dei fringuelli alpini durante la fase cruciale di allevamento dei nidiacei?”

Fig. 1: Fringuello alpino con numerosi invertebrati nel becco destinati ai nidiacei (Foto: Paolo Pedrini), Fringuello alpino in uscita dal pilone di un impianto di risalita in cui sta nidificando (Foto: Chiara Bettega)

Per rispondere è stata svolta una ricerca presso Passo Pordoi e Passo Sella, due zone di altitudine tra il Trentino Alto-Adige e il Veneto, presso le quali sono presenti numerosi impianti sciistici e un discreto numero di coppie di fringuello alpino. In primis, quindi, sono stati osservati gli individui di questa specie tramite un binocolo per trovarne i rispettivi nidi, operazione decisamente non facile considerando le distanze, i dislivelli e le numerose altre specie di uccelli alpini di dimensioni paragonabili. Una volta individuate le coppie nidificanti, abbiamo studiato il loro comportamento di foraggiamento e in particolare la ricerca da parte dei genitori delle prede per nutrire i nidiacei, tra la fine di maggio e l’inizio di luglio, periodo che coincide con la prima covata delle popolazioni alpine della specie (che possono o meno deporre seconde covate, a seconda dell’anno e delle coppie). A ciascuna coppia veniva dedicata una giornata di studio: durante la mattinata si osservava dove andavano i fringuelli ad alimentarsi, si contavano i viaggi dal nido all’area di foraggiamento e se ne registravano le coordinate. Nel pomeriggio, presso i siti di alimentazione e un ugual numero di siti di controllo non utilizzati, si registravano i dati della copertura del terreno: neve, rocce, terreno nudo, erba (con la misura dell’altezza media) e fattori topografici (pendenza e irraggiamento) e meteorologici (temperatura e vento). Dopodiché si faceva una stima visiva della presenza di invertebrati, principali prede del fringuello alpino. Le aree di foraggiamento delle varie coppie nidificanti nei piloni risultavano più o meno sovrapposte ai tracciati delle piste, consentendo di valutarne quindi l’effetto. Con questo ammontare di informazioni è stato quindi possibile capire quali caratteristiche orientassero le scelte dei fringuelli alpini e quindi quali fossero i fattori chiave della selezione dell’habitat di foraggiamento in questo momento così importante e delicato del loro ciclo vitale.

Fig. 2: da sinistra Passo Pordoi (21/06/23) e Passo Sella (23/05/23) (Foto: Pietro Luciani)

Da questa analisi è emerso come i fringuelli alpini in media abbiano foraggiato maggiormente sulle piste che fuori dalle stesse. Tuttavia, questo risultato non dipende da una vera “preferenza” per le piste, quanto dal fatto che le caratteristiche ambientali dei siti posti lungo i tracciati, come l’erba bassa e la presenza dei margini nevosi, sono selezionate favorevolmente dalla specie. Tenendo conto di questi fattori, infatti, le piste tendono ad avere un effetto negativo sull’uso dell’habitat, per quanto non significativo. Altri risultati interessanti sono la forte relazione con la radiazione solare: quando c’è freddo i fringuelli preferiscono mangiare al sole mentre quando le temperature si alzano si alimentano in zone più riparate. Le zone antropizzate, dove il terreno è occupato da piloni, tombini, recinzioni e altre strutture create dall’uomo, vengono frequentate molto poco dagli uccelli.

I fringuelli nidificano presso le piste, ma queste offrono loro effettivamente dei vantaggi? Questi dati sembrano dimostrare che i fringuelli nidifichino nei piloni perché offrono cavità vicine alle praterie dove si alimentano, con condizioni mediamente idonee di erba bassa e chiazze di neve, ma le piste di per sé non favoriscono affatto la disponibilità di ambienti idonei al foraggiamento. Piuttosto, piste da sci e fringuelli alpini sembrano “preferire” le stesse condizioni ambientali. In contesti dove la realizzazione delle piste da sci comporta alterazioni più marcate rispetto al contesto dolomitico indagato nel nostro studio, è possibile attendersi un impatto negativo più evidente.

Questa ricerca rivela come anche una specie tradizionalmente vista come “antropofila” non sia così tanto avvantaggiata dalle attività antropiche in quota. Il fringuello alpino appare condizionato dalla disponibilità di cavità vicino a siti idonei per l’alimentazione e riesce ad approfittare delle opportunità offerte dai piloni, fintanto che l’alterazione dell’ambiente di prateria alpina è relativamente contenuta, ma risente negativamente della presenza di superfici modificate dalle attività umane. Conservare ambienti di prateria presso le piste da sci può contribuire a mitigarne gli effetti negativi su questa specie minacciata dai cambiamenti climatici ed è particolarmente importante considerando il probabile incremento di sovrapposizione tra piste e specie alpine dovuto ai cambiamenti climatici.

Se sia l’opinione pubblica a influenzare i temi e le narrazioni proposti dai giornali, o viceversa, o entrambe le cose, è un tema dibattuto e complesso. Sicuramente le due cose sono fortemente interconnesse. Ad ogni modo, se si vuole capire “che aria tira” su un certo argomento non c’è che analizzare le notizie pubblicate dai giornali. Tra i temi che negli ultimi anni ha trovato ampio spazio sui quotidiani ritroviamo quello dei grandi carnivori. Pensiamo al lupo, protagonista di una rapida ricolonizzazione naturale in tutta Italia e non solo. Nelle regioni delle Alpi orientali italiane, fino a una decina di anni fa, il lupo sembrava qualcosa di molto lontano. Chi avrebbe mai pensato che si sarebbero contati oltre 30 branchi nel 2020-2021?

Questo ritorno ha portato con sé problematiche e risvegliato paure che erano ormai state dimenticate, cogliendo impreparata una società non più abituata alla presenza di questi predatori. In questo contesto, l’analisi delle percezioni, dei temi, dei giudizi che ruotano intorno alla specie, lo studio, in altre parole, della sua “Dimensione umana” (Human Dimension in inglese) rappresenta un passaggio fondamentale verso la sua conservazione e la mitigazione dei conflitti. Nasce da queste premesse lo studio svolto dai ricercatori del MUSE in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Human Dimensions of Wildlife, con lo scopo principale di “fotografare” la rappresentazione del lupo nei giornali locali delle regioni delle Alpi orientali italiane. Lo studio è stato svolto nell’ambito del progetto LIFE WolfAlps EU, un progetto co-finanziato dall’Unione Europea che coinvolge quattro Paesi e 20 partner dell’arco alpino, con l’obiettivo di migliorare la coesistenza tra lupo e attività umane nelle Alpi.

Nello specifico, sono state analizzate la copertura (numero di articoli pubblicati sul tema lupo) e la valenza (il giudizio che la notizia trasmette sul lupo: positivo, negativo oppure neutro) delle notizie pubblicate sul lupo dai giornali locali in Veneto, Trentino e Alto Adige tra il 2019 e il 2020. Questi sono indicatori molto utili per comprendere il livello d’interesse pubblico verso il tema, e ci aiutano a capire quali siano le opinioni e i giudizi predominanti.

Si è quindi passati ad un esame più approfondito dei contenuti e ad una valutazione dettagliata di titoli, sottotitoli, immagini e testo, oltre che del tipo di narrazione prevalente sul lupo e dei temi maggiormente trattati nelle tre aree di studio (Figura 1). Ciò che è emerso dall’analisi di 803 notizie pubblicate è una grande eterogeneità spaziale in termini di copertura, valenza e temi trattati.

Figura 1. Esempi di immagini utilizzate da diversi giornali per parlare di lupo: neutrali (sinistra, tratta dal quotidiano L’Adige (TN)) e negative (destra, tratta da Stol.it (BZ)).

I risultati mostrano una rappresentazione generalmente neutra del lupo e una predilezione per i temi legati alla gestione della specie e alle predazioni, con interessanti differenze sia tra aree geografiche che testate giornalistiche.

Tra le province oggetto di confronto (Trento, Bolzano e Belluno), Belluno è quella con la più alta copertura (maggior numero di articoli pubblicati) e la rappresentazione più negativa della specie, mentre la provincia di Trento è risultata essere quella con il numero più alto di notizie positive (Figura 2). Anche all’interno della provincia di Bolzano la rappresentazione del lupo varia molto tra testate giornalistiche di lingua italiana e tedesca, con una predominanza di articoli negativi nelle seconde.

Figura 2. Mappa dell’area di studio con una matrice che mostra i residui standardizzati del Chi-quadro ottenuti per la valenza complessiva delle notizie e per le tre aree di interesse, ovvero Belluno, Trento e Bolzano. I cerchi in tonalità blu indicano associazioni positive tra una data categoria di valenza e un’area di interesse (cioè una maggiore frequenza di notizie con quella valenza in quell’area). I cerchi in tonalità rosse indicano invece associazioni negative. I cerchi grigi in mappa rappresentano la distribuzione dei branchi di lupi nell’area di interesse nel 2020-2021 (dati di Marucco et al., 2022). Foto del lupo: Augusto Rivelli, Archivio Ente Aree Protette Alpi Marittime.

Anche le tematiche e le categorie di soggetti intervistati nelle notizie variano molto a seconda della provincia. Nelle provincie di Belluno e Bolzano, i temi più frequenti sono quelli delle predazioni e della gestione della specie. In Trentino i temi principali rilevati sono gestione, stato della popolazione, avvistamenti e ritrovamenti di esemplari morti.

Questo studio rappresenta la prima indagine della rappresentazione del lupo nei giornali nell’area alpina italiana e un importante punto di partenza per l’identificazione e la comprensione delle criticità locali oltre che del ruolo dei mezzi di comunicazione nella percezione del lupo da parte dell’opinione pubblica. Appare infatti evidente il ruolo chiave di giornali e giornalisti nel ridurre i conflitti e migliorare la coesistenza. L’utilizzo di espressioni e immagini più neutre, messaggi obiettivi basati su evidenze scientifiche, l’attenzione verso argomenti capaci di ridurre il conflitto anziché accentuarlo… tutto può concorrere ad un approccio più consapevole, informato ed equilibrato sul tema “lupo”.

Altro aspetto riguarda lo sviluppo di linee guida e manuali specifici che affrontino la disinformazione e spieghino come scoprirla e affrontarla (si veda ad esempio il manuale “Lupus in bufala” prodotto nell’ambito del progetto LIFE WolfAlps EU).

In un’epoca in cui sono le notizie sensazionalistiche quelle che più trovano spazio e risonanza, trovare questo equilibrio non è facile, ma conoscere i fattori che guidano gli atteggiamenti e la narrazione mediatica e i loro cambiamenti può sicuramente contribuire al suo raggiungimento.

 

La stagione riproduttiva della nostra avifauna si avvicina ormai alla conclusione e gli uccelli d’alta quota non fanno eccezione. Un’annata decisamente inconsueta, non solo nei fondovalle ma anche sulle praterie alpine. Dopo le scarse precipitazioni invernali, neve e pioggia sono mancate anche in primavera e le temperature non sono state certo tipicamente alpine. In un contesto climatico-ambientale come questo, il monitoraggio del fringuello alpino diventa sempre più importante.

La stagione riproduttiva nelle cassette nido

Il monitoraggio delle cassette nido ha confermato ancora una volta la predilezione di queste strutture da parte del fringuello alpino ai passi dello Stelvio, Umbrail e Gavia, mentre nel massiccio delle Pale di San Martino la specie sceglie preferenzialmente le pareti rocciose. Questo non sorprende, dato che il contesto dolomitico offre abbondanza di siti naturali in tal senso; c’è anche da sottolineare come i siti idonei all’alimentazione e al foraggiamento dei pulli – prateria mista a rocce, nonché, quando possibile, nevai in scioglimento – siano qui molto più frammentati, incidendo probabilmente sulla quantità di coppie nidificanti, o quanto meno sulla loro distribuzione nel massiccio, molto più sparsa rispetto al contesto occidentale.

Alcune cassette nido nei rifugi delle Pale di San Martino sono state tuttavia occupate da altre specie: il codirosso spazzacamino ha nidificato con successo ai rifugi Mulaz, Rosetta, Velo e Pradidali, mentre una covata di ballerina bianca è stata rilevata al Mulaz (fig. 1); un dato questo interessante data l’altitudine insolitamente elevata (2571 m) per la nidificazione di questa specie.

Figura 1 – Sulla sinistra, il nido di codirosso spazzacamino, sulla destra quello di ballerina bianca.

I rifugi dolomitici (e pre-dolomitici come il Fraccaroli sul Carega) interessati dall’attività di monitoraggio estivo ed invernale sono stati anche forniti di un pannello illustrativo del progetto (fig. 2), collegato ad un sito web realizzato ad hoc, con informazioni sulla specie, sull’ambiente di montagna e su come trasmettere le proprie osservazioni: nivalisdolomites.wordpress.com.

Figura 2 – I pannelli informativi installati presso i rifugi coinvolti nel progetto.

Primi fringuelli alpini inanellati sul Carega

Il Carega, come già raccontato in un precedente articolo, è il massiccio più meridionale delle Alpi centro-orientali in cui la specie nidifica. L’installazione di una cassetta nido presso il Rifugio Fraccaroli nel 2021 aveva dato inizio al monitoraggio di questa popolazione. L’occupazione di cassette nido di recente installazione può non essere immediata o può portare all’occupazione da parte di altre specie. Considerata la presenza costante di almeno due coppie nei dintorni del rifugio, durante questa stagione riproduttiva si è deciso di iniziare un’attività di inanellamento con l’uso di reti di tipo mist-net. Grazie al prezioso aiuto dei nuovi, giovani gestori del Rifugio Miriam e Andrea, che hanno collaborato con entusiasmo al trasporto del materiale necessario e alla logistica (fig. 3a), è stato possibile effettuare una prima sessione, durante la quale sono stati catturati ed inanellati 6 individui, di cui 3 adulti e 3 giovani. Come per gli individui inanellati nelle altre aree (Stelvio, Umbrail e Gavia in estate, Passo Rolle in inverno), i fringuelli alpini del Carega sono stati dotati sia di anello metallico che di anello colorato (bianco con scritta rossa) per facilitarne la lettura, anche da parte dei non addetti ai lavori (fig. 3b).

Figura 3 – Sulla sinistra, il trasporto del materiale per le catture e l’inanellamento al Rifugio Fraccaroli, sul Carega; sulla destra, uno degli adulti di fringuello alpino inanellati sul massiccio del Carega.

Collaborazioni internazionali – Lo studio dell’ecologia del movimento

Il MUSE sta collaborando con il CSIC (Consejo Superior de Investigación Científica) spagnolo nello studio dell’ecologia del movimento del fringuello alpino. Nel 2021, alcuni individui adulti nidificanti presso i passi Stelvio e Gavia erano stati dotati di datalogger in grado di registrare la posizione dell’individuo ogni dieci giorni durante l’intero anno. Quest’anno sono stati ricatturati i primi due individui – un maschio e una femmina – e i datalogger rimossi per consentire di scaricare i dati, dai quali possiamo capire le caratteristiche e l’entità dei movimenti realizzati da ciascun individuo durante l’anno (fig. 4). Si tratta dei primi dati di questo tipo nelle Alpi, che si aggiungono ai dati che i ricercatori spagnoli stanno raccogliendo nella Cordigliera Cantabrica.

Figura 4 – Movimenti annuali di due individui inanellati presso i passi dello Stelvio e di Gavia (dati: M.Delgado).

Collaborazioni regionali – Connessi o isolati?

E’ proseguita la collaborazione con il Museo di Scienze di Bolzano nel progetto relativo allo studio della connettività tra popolazioni di uccelli alpini, in particolare lo spioncello e il fringuello alpino. Se l’estate del 2021 aveva visto lo staff dei due musei impegnato soprattutto nel prelievo di campioni da esemplari di spioncello, quest’anno il protagonista è stato il fringuello alpino. 83 individui sono stati campionati, in alcuni casi non senza difficoltà, in diverse popolazioni del Trentino-Alto Adige e i campioni saranno ora analizzati geneticamente per capire il grado di connettività o isolamento di queste popolazioni.

Ringraziamenti: Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino; Parco Nazionale dello Stelvio; Comitato Scientifico CAI; CSIC Spagna; Museo di Scienze Naturali dell’Alto-Adige.