Agricoltura, Paesaggio e Natura in dialogo

by Corrado Alessandrini on

Biodiversità nei meleti della Val di Non

Ormai da anni il MUSE si occupa dello studio della biodiversità nei contesti agro-silvo-pastorali della Provincia. Grazie a tale lavoro è stato possibile evidenziare l’impatto negativo delle nuove politiche agricole sui prati stabili trentini e l’utilità di semplici pratiche agricole nel favorire gli impollinatori nei vigneti del progetto Terra-Aria-Acqua.

Con i medesimi obiettivi di conoscenza e salvaguardia del territorio provinciale, è nato il progetto “Agricoltura, Paesaggio e Natura in dialogo: per una produzione orientata alla sostenibilità della frutticoltura della Val di Non”, una collaborazione tra MUSE, l’Associazione dei Produttori Ortofrutticoli Trentini (APOT) e l’Università degli Studi di Milano.

Le mele nonese sono di certo un vanto della produzione ortofrutticola nazionale, richieste ed apprezzate anche all’estero, tuttavia la loro produzione – oggi decisamente intensiva – deve essere sempre più inquadrata in un contesto di sostenibilità e di riduzione di eventuali effetti negativi sugli ambienti nel territorio circostante.

Figura 1*. Veduta di Cles nel 1929 e oggi (da Civiltà Anaune di Giuliana Andreotti)

*Foto da Paesaggi d’Anaunia, documento MUSE.

Il confronto con foto storiche come questa evidenzia la profonda trasformazione avvenuta nel corso dell’ultimo secolo: il paesaggio altamente polifunzionale – con frutteti alternati a colture orticole, seminativi e pascoli per il bestiame – è stato sostituito da fitti filari di meli, comportando una profonda semplificazione di ampie porzioni della valle. Solo le asperità topografiche di cui questa è ricca – come le sue spettacolari forre – assicurano il persistere di formazioni naturali, quali boschi misti e aree umide. Le aree prative sopravvivono oggi solo nella parte settentrionale della valle e sono importanti per l’alimentazione di bovini di rilevante interesse caseario.

Consapevoli degli impatti di questa intensificazione, già da anni APOT e i vari consorzi locali (es. Melinda) hanno orientato la produzione verso pratiche più sostenibili, adottando un disciplinare di produzione integrata (meno dannosa rispetto a quella convenzionale) e avvalendosi del supporto tecnico-scientifico della Fondazione Edmund Mach (per sperimentare nuove varietà e controllare la filiera). Il presente progetto mira, dunque, ad ampliare l’attenzione verso le comunità biologiche che vivono nei meleti, e il ruolo di questi nel contesto naturale più ampio della valle.
In particolare, il lavoro si concentra sullo studio di uccelli, insetti impollinatori e micromammiferi, tre gruppi tassonomici di particolare rilievo nel contesto ortofrutticolo in quanto dispensatori di importanti servizi (e talvolta disservizi) ecosistemici, come il controllo delle specie dannose, l’impollinazione e il danneggiamento delle piante da frutto.

Figura 2. Karan Sethi ed Ekaterina Mogilnaia al lavoro tra i meleti in località Mollaro.

Nella primavera-estate 2023 è avvenuta la prima stagione sul campo che ha visto impegnata un’ampia squadra di ricercatori, tra personale MUSE (Emanuela Granata, Chiara Fedrigotti, Giovanni Zanfei e Francesca Roseo) e delle Università (Corrado Alessandrini, Ekaterina Mogilnaia e Karan Sethi dell’Università di Milano e Valeria Vitangeli dell’Università di Padova), sotto il coordinamento scientifico di Paolo Pedrini, Mattia Brambilla (Università di Milano) e Dino Scaravelli (U. Bologna).

A distanza di qualche mese, i tanti dati raccolti (solo gli uccelli contati erano oltre diecimila!) sono stati informatizzati e le prime analisi sono in corso.
Presto i primi risultati!

A cura di Pietro Luciani

Gli sport invernali e lo sci in particolare sono diventati molto popolari e la loro diffusione non accenna a rallentare. La pratica di questi sport necessita di grandi aree appositamente preparate e mantenute, le piste da sci, che richiedono numerosi interventi da parte dell’uomo, quasi sempre in contrasto con piante e animali locali. Questi tracciati infatti vengono creati in zone montane che solitamente sono occupate da habitat naturali che vengono eliminati o frammentati per fare spazio alle piste. A subirne le conseguenze sono quindi la flora e la fauna locali. Questi effetti sono stati studiati e sono in corso di analisi per numerose specie alpine, tra cui soprattutto mammiferi, insetti e uccelli. Nonostante gli impatti generalmente negativi, alcune specie riescono a coesistere con le piste da sci e, talvolta, a trarne vantaggio: scarti di cibo umano, nuovi siti riproduttivi, facile cattura delle prede possono favorire alcune specie.

Con questo lavoro si è indagato l’effetto delle piste sul fringuello alpino, una specie strettamente legata alle alte quote che talvolta nidifica all’interno dei piloni degli impianti di risalita. La domanda da cui siamo partiti è stata “Qual è l’effetto delle piste da sci sulla selezione dell’habitat di alimentazione dei fringuelli alpini durante la fase cruciale di allevamento dei nidiacei?”

Fig. 1: Fringuello alpino con numerosi invertebrati nel becco destinati ai nidiacei (Foto: Paolo Pedrini), Fringuello alpino in uscita dal pilone di un impianto di risalita in cui sta nidificando (Foto: Chiara Bettega)

Per rispondere è stata svolta una ricerca presso Passo Pordoi e Passo Sella, due zone di altitudine tra il Trentino Alto-Adige e il Veneto, presso le quali sono presenti numerosi impianti sciistici e un discreto numero di coppie di fringuello alpino. In primis, quindi, sono stati osservati gli individui di questa specie tramite un binocolo per trovarne i rispettivi nidi, operazione decisamente non facile considerando le distanze, i dislivelli e le numerose altre specie di uccelli alpini di dimensioni paragonabili. Una volta individuate le coppie nidificanti, abbiamo studiato il loro comportamento di foraggiamento e in particolare la ricerca da parte dei genitori delle prede per nutrire i nidiacei, tra la fine di maggio e l’inizio di luglio, periodo che coincide con la prima covata delle popolazioni alpine della specie (che possono o meno deporre seconde covate, a seconda dell’anno e delle coppie). A ciascuna coppia veniva dedicata una giornata di studio: durante la mattinata si osservava dove andavano i fringuelli ad alimentarsi, si contavano i viaggi dal nido all’area di foraggiamento e se ne registravano le coordinate. Nel pomeriggio, presso i siti di alimentazione e un ugual numero di siti di controllo non utilizzati, si registravano i dati della copertura del terreno: neve, rocce, terreno nudo, erba (con la misura dell’altezza media) e fattori topografici (pendenza e irraggiamento) e meteorologici (temperatura e vento). Dopodiché si faceva una stima visiva della presenza di invertebrati, principali prede del fringuello alpino. Le aree di foraggiamento delle varie coppie nidificanti nei piloni risultavano più o meno sovrapposte ai tracciati delle piste, consentendo di valutarne quindi l’effetto. Con questo ammontare di informazioni è stato quindi possibile capire quali caratteristiche orientassero le scelte dei fringuelli alpini e quindi quali fossero i fattori chiave della selezione dell’habitat di foraggiamento in questo momento così importante e delicato del loro ciclo vitale.

Fig. 2: da sinistra Passo Pordoi (21/06/23) e Passo Sella (23/05/23) (Foto: Pietro Luciani)

Da questa analisi è emerso come i fringuelli alpini in media abbiano foraggiato maggiormente sulle piste che fuori dalle stesse. Tuttavia, questo risultato non dipende da una vera “preferenza” per le piste, quanto dal fatto che le caratteristiche ambientali dei siti posti lungo i tracciati, come l’erba bassa e la presenza dei margini nevosi, sono selezionate favorevolmente dalla specie. Tenendo conto di questi fattori, infatti, le piste tendono ad avere un effetto negativo sull’uso dell’habitat, per quanto non significativo. Altri risultati interessanti sono la forte relazione con la radiazione solare: quando c’è freddo i fringuelli preferiscono mangiare al sole mentre quando le temperature si alzano si alimentano in zone più riparate. Le zone antropizzate, dove il terreno è occupato da piloni, tombini, recinzioni e altre strutture create dall’uomo, vengono frequentate molto poco dagli uccelli.

I fringuelli nidificano presso le piste, ma queste offrono loro effettivamente dei vantaggi? Questi dati sembrano dimostrare che i fringuelli nidifichino nei piloni perché offrono cavità vicine alle praterie dove si alimentano, con condizioni mediamente idonee di erba bassa e chiazze di neve, ma le piste di per sé non favoriscono affatto la disponibilità di ambienti idonei al foraggiamento. Piuttosto, piste da sci e fringuelli alpini sembrano “preferire” le stesse condizioni ambientali. In contesti dove la realizzazione delle piste da sci comporta alterazioni più marcate rispetto al contesto dolomitico indagato nel nostro studio, è possibile attendersi un impatto negativo più evidente.

Questa ricerca rivela come anche una specie tradizionalmente vista come “antropofila” non sia così tanto avvantaggiata dalle attività antropiche in quota. Il fringuello alpino appare condizionato dalla disponibilità di cavità vicino a siti idonei per l’alimentazione e riesce ad approfittare delle opportunità offerte dai piloni, fintanto che l’alterazione dell’ambiente di prateria alpina è relativamente contenuta, ma risente negativamente della presenza di superfici modificate dalle attività umane. Conservare ambienti di prateria presso le piste da sci può contribuire a mitigarne gli effetti negativi su questa specie minacciata dai cambiamenti climatici ed è particolarmente importante considerando il probabile incremento di sovrapposizione tra piste e specie alpine dovuto ai cambiamenti climatici.

Se sia l’opinione pubblica a influenzare i temi e le narrazioni proposti dai giornali, o viceversa, o entrambe le cose, è un tema dibattuto e complesso. Sicuramente le due cose sono fortemente interconnesse. Ad ogni modo, se si vuole capire “che aria tira” su un certo argomento non c’è che analizzare le notizie pubblicate dai giornali. Tra i temi che negli ultimi anni ha trovato ampio spazio sui quotidiani ritroviamo quello dei grandi carnivori. Pensiamo al lupo, protagonista di una rapida ricolonizzazione naturale in tutta Italia e non solo. Nelle regioni delle Alpi orientali italiane, fino a una decina di anni fa, il lupo sembrava qualcosa di molto lontano. Chi avrebbe mai pensato che si sarebbero contati oltre 30 branchi nel 2020-2021?

Questo ritorno ha portato con sé problematiche e risvegliato paure che erano ormai state dimenticate, cogliendo impreparata una società non più abituata alla presenza di questi predatori. In questo contesto, l’analisi delle percezioni, dei temi, dei giudizi che ruotano intorno alla specie, lo studio, in altre parole, della sua “Dimensione umana” (Human Dimension in inglese) rappresenta un passaggio fondamentale verso la sua conservazione e la mitigazione dei conflitti. Nasce da queste premesse lo studio svolto dai ricercatori del MUSE in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Human Dimensions of Wildlife, con lo scopo principale di “fotografare” la rappresentazione del lupo nei giornali locali delle regioni delle Alpi orientali italiane. Lo studio è stato svolto nell’ambito del progetto LIFE WolfAlps EU, un progetto co-finanziato dall’Unione Europea che coinvolge quattro Paesi e 20 partner dell’arco alpino, con l’obiettivo di migliorare la coesistenza tra lupo e attività umane nelle Alpi.

Nello specifico, sono state analizzate la copertura (numero di articoli pubblicati sul tema lupo) e la valenza (il giudizio che la notizia trasmette sul lupo: positivo, negativo oppure neutro) delle notizie pubblicate sul lupo dai giornali locali in Veneto, Trentino e Alto Adige tra il 2019 e il 2020. Questi sono indicatori molto utili per comprendere il livello d’interesse pubblico verso il tema, e ci aiutano a capire quali siano le opinioni e i giudizi predominanti.

Si è quindi passati ad un esame più approfondito dei contenuti e ad una valutazione dettagliata di titoli, sottotitoli, immagini e testo, oltre che del tipo di narrazione prevalente sul lupo e dei temi maggiormente trattati nelle tre aree di studio (Figura 1). Ciò che è emerso dall’analisi di 803 notizie pubblicate è una grande eterogeneità spaziale in termini di copertura, valenza e temi trattati.

Figura 1. Esempi di immagini utilizzate da diversi giornali per parlare di lupo: neutrali (sinistra, tratta dal quotidiano L’Adige (TN)) e negative (destra, tratta da Stol.it (BZ)).

I risultati mostrano una rappresentazione generalmente neutra del lupo e una predilezione per i temi legati alla gestione della specie e alle predazioni, con interessanti differenze sia tra aree geografiche che testate giornalistiche.

Tra le province oggetto di confronto (Trento, Bolzano e Belluno), Belluno è quella con la più alta copertura (maggior numero di articoli pubblicati) e la rappresentazione più negativa della specie, mentre la provincia di Trento è risultata essere quella con il numero più alto di notizie positive (Figura 2). Anche all’interno della provincia di Bolzano la rappresentazione del lupo varia molto tra testate giornalistiche di lingua italiana e tedesca, con una predominanza di articoli negativi nelle seconde.

Figura 2. Mappa dell’area di studio con una matrice che mostra i residui standardizzati del Chi-quadro ottenuti per la valenza complessiva delle notizie e per le tre aree di interesse, ovvero Belluno, Trento e Bolzano. I cerchi in tonalità blu indicano associazioni positive tra una data categoria di valenza e un’area di interesse (cioè una maggiore frequenza di notizie con quella valenza in quell’area). I cerchi in tonalità rosse indicano invece associazioni negative. I cerchi grigi in mappa rappresentano la distribuzione dei branchi di lupi nell’area di interesse nel 2020-2021 (dati di Marucco et al., 2022). Foto del lupo: Augusto Rivelli, Archivio Ente Aree Protette Alpi Marittime.

Anche le tematiche e le categorie di soggetti intervistati nelle notizie variano molto a seconda della provincia. Nelle provincie di Belluno e Bolzano, i temi più frequenti sono quelli delle predazioni e della gestione della specie. In Trentino i temi principali rilevati sono gestione, stato della popolazione, avvistamenti e ritrovamenti di esemplari morti.

Questo studio rappresenta la prima indagine della rappresentazione del lupo nei giornali nell’area alpina italiana e un importante punto di partenza per l’identificazione e la comprensione delle criticità locali oltre che del ruolo dei mezzi di comunicazione nella percezione del lupo da parte dell’opinione pubblica. Appare infatti evidente il ruolo chiave di giornali e giornalisti nel ridurre i conflitti e migliorare la coesistenza. L’utilizzo di espressioni e immagini più neutre, messaggi obiettivi basati su evidenze scientifiche, l’attenzione verso argomenti capaci di ridurre il conflitto anziché accentuarlo… tutto può concorrere ad un approccio più consapevole, informato ed equilibrato sul tema “lupo”.

Altro aspetto riguarda lo sviluppo di linee guida e manuali specifici che affrontino la disinformazione e spieghino come scoprirla e affrontarla (si veda ad esempio il manuale “Lupus in bufala” prodotto nell’ambito del progetto LIFE WolfAlps EU).

In un’epoca in cui sono le notizie sensazionalistiche quelle che più trovano spazio e risonanza, trovare questo equilibrio non è facile, ma conoscere i fattori che guidano gli atteggiamenti e la narrazione mediatica e i loro cambiamenti può sicuramente contribuire al suo raggiungimento.