In una recente ricerca della Sezione, pubblicata sulla rivista internazionale di agroecologia Agriculture, Ecosystems & Environment, ci siamo chiesti se fosse possibile armonizzare la conservazione della biodiversità con il potenziamento dei “benefici” che un paesaggio culturale può fornire quotidianamente all’uomo: i “servizi ecosistemici”.
I paesaggi culturali sono il frutto delle complesse interazioni tra uomo e natura e sono contraddistinti da caratteristiche ben definite, da una tangibile presenza di ambienti naturali o semi-naturali, retaggio di quel paesaggio naturale da cui si sono originati, e da una rilevante eterogeneità ambientale; entrambi risultato di un’agricoltura estensiva e “tradizionale”.

I vigneti terrazzati della Val di Cembra sono l’elemento più caratteristico di questo Paesaggio Rurale Storico del Trentino. Foto Giacomo Assandri/Arch. MUSE

Nello specifico, ci si è focalizzati sul valore estetico fornito dai paesaggi vitati del Trentino, in quanto la viticoltura è uno dei più tipici tratti dell’agricoltura di questo territorio e i vigneti alle basse quote costituiscono uno degli elementi che caratterizza maggiormente il paesaggio delle nostre vallate. Esistono tuttavia dei netti contrasti determinati dalle caratteristiche topografiche e bioclimatiche del territorio e dal loro riflesso sulle pratiche agricole: nei fondivalle e nei settori planiziali, la viticoltura è condotta in maniera estremamente intensiva e il paesaggio che ne risulta è dominato dalla monocultura; al contrario, nei settori collinari e di versante, i vigneti sono il risultato di una capillare opera di trasformazione del territorio, basata sulla creazione di terrazzamenti sostenuti da muretti a secco. Questi paesaggi terrazzati, quali ad esempio quelli che si incontrano in Val di Cembra, sono considerati Paesaggi Rurali Storici e, in quanto tali, rivestono una primaria rilevanza storico-culturale.
La bellezza di un paesaggio è ritenuta da molti un valore importante che aggiunge qualità alla vita, ma comporta anche evidenti ritorni economici; si pensi ad esempio all’attrattività turistica o al maggiore valore delle proprietà che caratterizzano i luoghi esteticamente più gradevoli.

Il codirosso comune è una specie indicatrice dei vigneti a maggiore biodiversità avifaunistica del Trentino. Foto Andrea Galimberti.

Ma come misurare un concetto così soggettivo come la bellezza?
Per farlo si è utilizzato un questionario fotografico, i cui rispondenti erano chiamati a quantificare il valore estetico di 24 paesaggi vitati caratterizzati da differenti livelli di intensificazione della viticoltura, dando un punteggio da uno a dieci.
Negli stessi paesaggi si è contemporaneamente valutato il numero di specie di uccelli presenti e l’abbondanza e le esigenze ecologiche di una specie in particolare, il codirosso comune. Questo piccolo passeriforme variopinto e dal canto melodioso, è piuttosto diffuso nei vigneti del Trentino, a patto che questi soddisfino due sue esigenze fondamentali: la presenza di grossi insetti, di cui si nutre, e di cavità naturali o artificiali, in cui nidifica.
I risultati della ricerca hanno evidenziato come i paesaggi con maggiore abbondanza di codirossi corrispondevano a quelli cui i rispondenti del questionario (più di 400 persone!) avevano attribuito un elevato valore estetico. Allo stesso modo, le aree caratterizzate da una maggiore abbondanza di codirossi ospitavano anche le comunità di uccelli più ricche, confermando come la specie sia davvero un ottimo indicatore della biodiversità avifaunistica delle aree studiate. Inoltre, il codirosso è risultato essere favorito dagli elementi tradizionali più tipici del paesaggio culturale, che contribuiscono fortemente anche al suo valore estetico. Infatti, questa specie è risultata strettamente associata alla diversità ambientale a piccola scala e in particolare dalla presenza di siepi, filari di alberi e bordure erbose, in cui caccia le sue prede, e di muretti a secco, nei cui anfratti costruisce il nido.
La ricerca ha fatto emergere un insegnamento importante: gestire il paesaggio per mantenere o potenziare un servizio ecosistemico (il valore estetico), che all’atto pratico significa conservare quegli elementi tradizionali che qualificano il paesaggio stesso come “culturale”, permetterebbe di ottenere il risultato (“collaterale”, se vogliamo, ma tutt’altro che secondario!) di conservare la biodiversità, giungendo così a una sintesi tra esigenze produttive, conservazione della natura e ottimizzazione dei servizi ecosistemici.

I muretti a secco sono un tratto caratterizzante dei paesaggi terrazzati del Trentino e sono uno degli elementi che permettono a specie come il codirosso di nidificare in questi ambienti. Foto Giacomo Assandri/Arch. MUSE

L’articolo è stato scritto da Giacomo Assandri, Mattia Brambilla e Paolo Pedrini. Revisione di Chiara Fedrigotti.

Con la sua tesi di dottorato (Biodiversity conservation in permanent crops and grasslands), Giacomo Assandri si è aggiudicato il prestigioso Premio Daikin per la Conservazione della Biodiversità per l’anno 2018. Giacomo ha ottenuto il Dottorato in Scienze della Terra e dell’Ambiente presso il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia, con una borsa di studia finanziata dal MUSE di Trento. Supervisori del progetto sono stati Giuseppe Bogliani (Dipartimento di Scienza e della Terra – Pavia), Paolo Pedrini e Mattia Brambilla (MUSE).

La tesi di Giacomo aveva come scopo la definizione di pratiche gestionali sostenibili volte a favorire la biodiversità nei sistemi agricoli permanenti e, più in generale, la loro sostenibilità ambientale. Un obiettivo di particolare urgenza, in quanto questi sistemi agricoli sono stati esclusi dall’obbligo di «greening» previsto nella Politica Agraria Comune (un insieme di norme volte a migliorare la sostenibilità dell’agro-ecosistema, obbligatorie per ricevere i contributi economici previsti per quel settore), in quanto considerati – a torto – sostenibili di per sé. La necessità di misure di conservazione basate su dati scientifici è stata uno dei leitmotiv del progetto di ricerca, che ha portato alla pubblicazione di nove lavori su questi temi su riviste scientifiche internazionali.

In tutto sono state pervenute 15 candidature da ricercatori provenienti da 11 diverse università italiane con tesi di dottorato riguardanti i più disparati aspetti della conservazione della biodiversità, segno del buon successo di partecipazione anche per questa quarta edizione del premio. Il premio verrà consegnato durante l’annuale convegno del Dipartimento BBCD dell’ Università Sapienza di Roma.

 

Prosegue la raccolta dati riguardanti il francolino di monte nei territori del Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino. Lo studio, cominciato nel 2015, vede la collaborazione tra Museo delle Scienze di Trento, Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino e Fondazione Edmund Mach, con lo scopo di approfondire biologia, ecologia e uso dell’habitat nel periodo invernale della specie. Una ricerca con caratteri di innovatività, che ricorre a tecniche genetiche non invasive e a moderni metodi statistici.

Il francolino di monte, assieme a gallo cedrone (Tetrao urogallus), fagiano di monte (Lyrurus tetrix) e pernice bianca (Lagopus muta), è una delle quattro specie di tetraonidi che si possono incontrare sull’arco Alpino. Negli ultimi 30 anni, il loro areale di distribuzione ha registrato una forte contrazione con motivazioni di varia natura: le alterazioni ambientali (es. gestione delle foreste, prati, pascoli), il bracconaggio ed i cambiamenti climatici. Tra i quattro tetraonidi, il francolino di monte resta forse il meno conosciuto: la livrea estremamente mimetica, associata ad una spiccata elusività, rendono questa specie particolarmente difficile da studiare.

Ph. Wikimedia Commons


Le ricerche, si sono concentrate in un’area di circa 700 ettari ai piedi del Monte Cimerlo, in Val Canali, a quote comprese tra i 1000 ed i 1700 m. La vegetazione del luogo appare molto diversificata: associazioni di faggio, abete rosso, abete bianco, peccete, laricete, abetine secondarie in fase matura ed ex zone prative a larice. Nelle zone ecotonali fa la sua comparsa il nocciolo, naturalmente presente insieme al sorbo degli uccellatori, al biancospino ed al sorbo montano.
Il materiale biologico destinato all’analisi genetica, consiste in campioni fecali rinvenuti nel periodo invernale lungo transetti lineari. I transetti, distanziati regolarmente l’uno dall’altro sono stati percorsi per 5 volte nel periodo tra dicembre ed aprile, raccogliendo quanti più possibili campioni appartenenti alla specie-target. Altro aspetto importante riguarda lo stoccaggio del materiale biologico campionato, con i pellet (campioni fecali) conservati in apposite provette corredate dai dati riguardanti le coordinate geografiche di ritrovamento, il transetto e la zona di rinvenimento, il numero della visita e l’id. del campione. In aggiunta a questi, al ritrovamento dei pellet si accompagnava la raccolta dei dati topografici e ambientali del sito.

 

A sinistra pista su neve di Francolino di monte (Foto M. Anderle); a destra gruppo di fatte prima di essere raccolte (Foto A. Forti).

 

Molteplici le informazioni che il DNA estratto dai campioni potrebbe fornire, tra queste: identità, sesso e dieta invernale degli individui presenti nell’area studio. Queste stessi dati aprirebbero poi la strada a stime riguardanti la densità della popolazione, home range e uso dello spazio in relazione ai vari habitat presenti tramite metodi di cattura-ricattura spaziale non-invasiva (campioni fecali).

Ringraziamenti: Alessandro Forti e Matteo Anderle che hanno contribuito equamente alla stesura del testo.

Ringraziamo inoltre: Piergiovanni Partel, Enrico Dorigatti, Gilberto Volcan, Roberto Celva, Maurizio Salvadori, Cristiano Vernesi, Barbara Crestanello, Ilaria Fracasso, Paolo Pedrini, Simone Tenan e Chiara Fedrigotti.