I biologi della conservazione identificano le “specie bandiera” (flagship species) con quelle specie carismatiche che affascinano e coinvolgono il grande pubblico, e quindi possono essere utilizzate come simbolo per ispirare azioni di conservazione in senso più ampio, cioè a livello di comunità, ecosistema o addirittura bioma. Classiche “bandiere della conservazione” sono i grandi mammiferi minacciati, come il panda, la tigre o il bisonte europeo.

Le specie bandiera quindi possono essere utilizzate come leva per la tutela di biotopi e ambienti, ma come è possibile utilizzare una o più specie bandiera in quelle aree del mondo dove i grandi animali carismatici non ci sono più da tempo?

Tipicamente, queste aree coincidono con quelle in cui i cambiamenti ambientali causati dall’uomo sono più evidenti e hanno comportato una forte perdita di biodiversità. Un classico esempio a livello europeo è rappresentato dalle aree coltivate. Gli agroecosistemi, infatti, sono spesso percepiti come privi di specie di interesse naturalistico, anche se nel Vecchio Continente una porzione consistente di biodiversità sopravvive in aree dedicate all’agricoltura.

In questi ambienti, anche in quelli più intensivi, conservare la biodiversità è una priorità per realizzare la sostenibilità, che è una condizione sempre più richiesta anche dai consumatori.

Una strada possibile per raggiungere questo obiettivo è quella delle specie bandiera “non tradizionali”, una definizione proposta nel 2000 dalla biologa della conservazione Abigail Entwistle [1], che ha avuto purtroppo scarsa applicazione in seguito, almeno stando alla letteratura di settore. L’idea di fondo è però semplice ed efficace: quasi qualsiasi specie, se adeguatamente presentata ai cittadini e fatta conoscere, può funzionare da bandiera per la conservazione!

Con questo obiettivo, nel nostro recente lavoro pubblicato sulla rivista Ecological Indicators [2], abbiamo valutato le esigenze ecologiche di due specie di uccelli, il codirosso comune Phoenicurus phoenicurus e il pigliamosche Muscicapa striata nei vigneti, una coltivazione dall’elevato valore economico e in espansione in Trentino come nel resto d’Europa.

Queste due specie hanno alcune caratteristiche rilevanti: sono presenti diffusamente nei vigneti, sono appariscenti o per colorazione (il codirosso comune) o per comportamento (il pigliamosche) e sono quindi facili da osservare e soprattutto sono insettivore, quindi possono essere utili alleate dei viticoltori per tenere sotto controllo gli insetti dannosi per le coltivazioni.

La ricerca condotta ha permesso di evidenziare che il pigliamosche è più abbondante nei vigneti tradizionali a pergola (anche intensivi), mentre tende a evitare le piantagioni a spalliera o troppo giovani, che non sono sufficientemente strutturate per ospitarne il nido. Il codirosso comune tende invece a selezionare i settori di versante, che presentano una viticoltura meno intensiva e conservano alcuni elementi agricoli tradizionali, come siepi, filari, muretti a secco e piccoli edifici rurali isolati, che la specie -che necessita di cavità per costruire il nido- apprezza.

In due lavori precedenti sugli uccelli dei vigneti trentini, avevamo già mostrato come questi stessi elementi che favoriscono codirosso e pigliamosche siano importanti anche per avere comunità di uccelli più ricche e diversificate e favoriscano l’abbondanza delle specie più comuni che si trovano in questi ambienti [3,4].

Sulla base di queste evidenze, nell’articolo recentemente pubblicato, proponiamo il pigliamosche e il codirosso comune come ideali specie bandiera non tradizionali nei vigneti trentini, in particolare la prima nei paesaggi viticoli più intensivi del fondovalle, mentre la seconda in quelli più estensivi di versante.

Fonti citate:

  1. Entwistle A. Flagship for the future. Oryx. 2000;34: 239–240.
  2. Assandri G, Bogliani G, Pedrini P, Brambilla M. Insectivorous birds as “non-traditional” flagship species in vineyards: Applying a neglected conservation paradigm to agricultural systems. Ecol Indic.; 2017;80: 275–285. Link all’articolo sul sito della rivista
  3. Assandri G, Bogliani G, Pedrini P, Brambilla M. Diversity in the monotony? Habitat traits and management practices shape avian communities in intensive vineyards. Agric Ecosyst Environ. ; 2016;223: 250–260.
  4. Assandri G, Bogliani G, Pedrini P, Brambilla M. Assessing common birds’ ecological requirements to address nature conservation in permanent crops: Lessons from Italian vineyards. J Environ Manage. 2017;191: 145–154.

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E’ quasi estate, la bella stagione è avviata e sicuramente molti di noi stanno già organizzando delle passeggiate tra fondovalle, prati alpini e ghiaioni nella provincia di Trento. Queste potrebbero essere delle occasioni preziose per osservare e fotografare anfibi e rettili e contribuire all’Atlante!

Partendo dal presupposto che ogni osservazione è importante, è utile considerare che al fine dell’Atlante alcune aree del Trentino sono più interessanti di altre. Tra queste annoveriamo aree difficili da perlustrare o aree dove non sono ancora stati diretti sforzi di monitoraggio e/o da cui non sono pervenute osservazioni occasionali.

I dati raccolti per la stesura del precedente Atlante degli Anfibi e dei Rettili del Trentino (pdf qui) fino al 2001 e quelli raccolti dal 2002 ad oggi (che sono continuamente aggiornati), sono visualizzabili sul webGIS che la Sezione di Zoologia dei Vertebrati ha sviluppato nell’ambito del progetto LIFE+T.E.N. (http://webgis.muse.it/webgis/). Nella mappa del Trentino che troverete aprendo il link, potete selezionare una specie di vostro interesse (e non solo anfibi e rettili) usando il nome latino o comune e visualizzare dove quella specie è stata osservata.

In questo modo, se organizzate un’escursione e vi capita di osservare anfibi o rettili, saprete se quella particolare specie è già nota o meno in quella zona! Vi ricordiamo che potete mandarci le foto delle vostre osservazioni o segnalazioni di altro tipo all’indirizzo e-mail anfibi.rettili@muse.it, oppure caricarle su inaturalist o ornitho.it, o mandarle come messaggio privato alla pagina Facebook @RettiliAnfibiTrentinoAltoAdige.

 

 

 

 

 

Quest’anno la Sezione di Zoologia dei Vertebrati lavorerà sui prati stabili

Il 12 maggio è ricominciata l’attività di campo della Sezione per il progetto di ricerca “Agricoltura e Biodiversità”. Questa primavera i ricercatori della sezione sono impegnati nell’attività di censimento dell’avifauna dei prati stabili del Trentino in 60 aree campione distribuite in tutte le principali aree a prato della provincia. Il progetto si inquadra nelle attività di monitoraggio previste nell’ambito della Rete Natura 2000, che la Sezione svolge in sinergia con P.A.T.

I prati stabili sono ambienti artificiali, caratterizzati da vegetazione erbacea e mantenuti dalla pratica dello sfalcio. Diversamente dai pascoli, non ospitano mai direttamente bestiame, ma sono comunque un tassello fondamentale della zootecnia alpina, dal momento che sono il luogo dove si produce il foraggio con cui sono nutriti gli animali al di fuori del periodo di alpeggio.

I prati stabili caratterizzano alcuni dei paesaggi culturali più rappresentativi delle Alpi e costituiscono uno degli habitat a più elevata biodiversità a scala Europea. Il Trentino ospita estensioni importanti di prati, che negli ultimi decenni hanno subito profonde modificazioni determinate da fattori sociologici ed economici (modernizzazione della zootecnia, abbandono della montagna, affermazione di colture più redditizie), che hanno agito invariabilmente su tutti i comprensori montani.

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Queste modificazioni hanno determinato un notevole impatto negativo sulla biodiversità; in particolare, i due fattori che hanno avuto il ruolo più importante sono stati da un lato l’intensificazione delle pratiche colturali (eutrofizzazione dei prati dovuta a sovraconcimazione; taglio intensivo su ampie superfici permesso dal crescente grado di meccanizzazione) e dall’altro la scomparsa di superfici a prato (a causa dell’abbandono di aree marginali meno produttive o della conversione in colture più redditizie).

Nell’ambito della Rete Natura 2000 e della definizione delle misure agroambientali per il Piano di Sviluppo Rurale provinciale, la Sezione ha portato avanti negli anni numerose ricerche su due specie di uccelli simbolo dei prati del Trentino: il re di quaglie (Crex crex) e l’averla piccola (Lanius collurio) -per approfondimenti si rimanda ai riferimenti in calce; tuttavia, i prati, intesi come ecosistema nel suo complesso, non sono mai stati oggetto di uno specifico progetto di ricerca volto a comprendere le relazioni tra cambiamenti della praticoltura ed effetti sulla biodiversità, di cui gli uccelli sono ottimi indicatori.

Da ciò nasce la nostra volontà di comprendere i meccanismi macroscopici che agiscono in questo senso, di divulgare i risultati al pubblico più ampio e di arrivare a definire misure di conservazione adeguate per gli uccelli legati a questo particolare ambiente delle nostre montagne.

Giacomo Assandri

Ricercatore PostDoc
MUSE – Università di Pavia

Per approfondire

  • Brambilla, M., Pedrini, P., 2013. The introduction of subsidies for grassland conservation in the Italian Alps coincided with population decline in a threatened grassland species , the Corncrake Crex crex. Bird Study 60, 404–408.
  • Brambilla, M., Pedrini, P., 2011. Intra-seasonal changes in local pattern of Corncrake Crex crex occurrence require adaptive conservation strategies in Alpine meadows. Bird Conserv. Int. 21, 388–393.
  • Ceresa, F., Bogliani, G., Pedrini, P., Brambilla, M., 2012. The importance of key marginal habitat features for birds in farmland: an assessment of habitat preferences of Red-backed Shrikes Lanius collurio in the Italian Alps. Bird Study 59, 327–334.
  • Pedrini, P., Rizzolli, F., Rossi, F., Brambilla, M., 2012. Population trend and breeding density of corncrake Crex crex (Aves : Rallidae) in the Alps: monitoring and conservation implications of a 15-year survey in Trentino , Italy. Ital. J. Zool. 79, 377–384.