Un recente articolo scientifico sviluppato proprio dai ricercatori MUSE – Sezione Zoologia dei Vertebrati, in collaborazione con l’Università di Pavia, ed il Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino, dimostra come negli ultimi 30 anni i cambiamenti climatici abbiano influenzato l’avifauna italiana.

Quest’estate è stata inaugurata al Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino una mostra dedicata proprio a questo argomento e rimarrà visitabile tutto l’autunno (orari: 8:30-12:30 e 14:30-17).

GLI AMBIENTI MONTANI CAMBIANO

A scala globale le zone montuose coprono appena ⅕ della superficie terrestre, ma includono ben ¼ della biodiversità totale e quasi il 50% degli hotspot di biodiversità (Myers et al. 2000; Millennium Ecosystem Assessment 2003): per questa ragione le montagne sono considerate regioni ad alto valore conservazionistico. L’effetto del riscaldamento climatico sulla superficie terrestre non avviene in maniera uniforme, ma varia seguendo andamenti latitudinali ed altitudinali, con estremi di surriscaldamento verso i poli e ad elevate altitudini (Beniston & Rebetez 1996). Questa relazione desta molta preoccupazione proprio per la biodiversità presente nelle aree montuose temperate, incluse le nostre Alpi. Sull’arco alpino, gli effetti dei cambiamenti climatici hanno infatti già causato importanti alterazioni tra cui ricordiamo l’innalzamento del limite degli alberi e della distribuzione di alcune specie ornitiche, ma anche la variazione del successo riproduttivo di alcune specie. La minaccia è ulteriormente aggravata da fattori antropici come lo sfruttamento delle foreste, l’abbandono dei pascoli e la realizzazione di nuovi impianti sciistici, che in modi diversi contendono e strappano a molte specie gli habitat ideali, costituiti da praterie e altri ambienti d’alta quota. Tali cambiamenti in particolare stanno causando un calo delle popolazioni di numerose specie di uccelli che vivono negli habitat alpini.

IL CLIMA IN ITALIA
Proprio quest’anno uno studio dell’ISPRA ha dimostrato come l’Italia stia climaticamente peggio della media globale, registrando un’anomalia della temperatura media di +1.58°C rispetto al valore globale di +1.23 C°, con nuovi record localizzati soprattutto nei contesti montuosi. Seppur in incremento, gli studi su clima e avifauna in aree montane rimango pochi. In generale, gli uccelli hanno una buona capacità nel rispondere alle fluttuazioni climatiche, ad esempio spostandosi latitudinalmente o altitudinalmente. Per le specie montane questo risulta particolarmente problematico perché, assieme alla temperatura, anche l’area abitabile decresce man mano che si sale di quota, rendendo queste popolazione ancora più isolate e quindi molto vulnerabili e soggette ad estinzioni (Figura 1).

Figura 1 – Le foreste di latifoglie, quelle di conifere, gli ambienti alpini, quelli sub-nivali e nivali sono ambienti la cui presenza ed estensione è determinata principalmente dal clima. I cambiamenti climatici stanno causando importanti alterazioni a questi biomi influenzandone l’estensione e la composizione. Ad esempio, l’innalzamento del limite degli alberi nelle zone alpine riduce l’estensione delle praterie alpine, la cui possibile risalita è limitata dalla la mancanza di substrati idonei. Allo stesso tempo, gli habitat del piano nivale stanno riducendo la loro estensione a causa dello scioglimento dei ghiacci e nevi perenni.

CAMBIAMENTI CLIMATICI E VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE ORNITICHE: COSA E’ SUCCESSO NEGLI ULTIMI 30 ANNI?

Gli effetti dei cambiamenti climatici su specie legate ad ambienti freddi sono generalmente considerati deleteri, ma gli studi che testano questa relazione nell’avifauna sono ancora pochi e rari soprattutto nel contesto alpino. Per colmare questa lacuna abbiamo verificato l’esistenza di una relazione tra variazione nell’areale di nidificazione di alcune specie in Italia negli ultimi 30 anni e la nicchia termale (ovvero il clima abitato dalle specie, misurato come temperatura media annuale dell’areale a scala europea) delle specie stesse.
Abbiamo considerato un gruppo di specie strettamente legate ai climi “freddi” delle montagne e un gruppo di specie molto simili ma presenti in climi più caldi e a quote generalmente più basse. Come si può vedere dalla Figura 2, specie legate ad ambienti freddi come la Pernice bianca, il Gallo cedrone, la Civetta capogrosso ed il Fringuello alpino hanno subito contrazioni di areale riproduttivo, rispetto a specie legate a climi più caldi come la Passera lagia o la Pernice rossa. Il principale effetto sulla variazione di areale risulta associato proprio alla nicchia termale delle specie: quelle che amano il freddo hanno generalmente subito una contrazione di areale, mentre quelle che occupano aree più calde sono generalmente andate incontro ad espansione. Questo indica chiaramente come il riscaldamento climatico stia influenzando profondamente la distribuzione delle specie ornitiche nel nostro Paese. Infine, sebbene l’effetto non sia particolarmente rilevante in termini statistici, le specie forestali mostrano tendenzialmente trend più favorevoli rispetto a quelle legate ad ambienti agricoli o d’alta quota.
 

Figura 2 – Relazione tra il trend di areale (variazione % di areale riproduttivo in Italia negli ultimi 30 anni, secondo i dati del reporting ai sensi della Direttiva Uccelli; Nardelli et al. 2015) e la temperatura media annuale dell’areale delle specie a livello Europeo. Il valore zero sull’asse verticale indica che non c’è stato cambiamento nel numero di aree riproduttive occupate negli ultimi 30 anni, mentre una percentuale positiva significa incremento e negativa perdita.

BIBLIOGRAFIA UTILE

Un annoso limite della biologia della conservazione, stigmatizzato nel 2007 da un celebre editoriale su Nature [1], è che i ricercatori spesso, arrivati a comprendere i meccanismi che determinano la diminuzione di una specie o il deterioramento di un habitat, lì si fermano, perdendo l’occasione di provare a colmare il grande divario che esiste tra conoscenza e azione, tra teoria e pratica.

Uno dei gruppi di biologia della conservazione più attivo a livello europeo, quello dell’Università di Berna, nel 2010 ha indicato quali devono essere i passaggi “extra” richiesti al biologo della conservazione per considerare concluso il suo lavoro, dopo aver pubblicato la sua ricerca, e dopo aver quindi compreso i meccanismi alla base della problematica conservazionistica. Secondo questi ricercatori i risultati devono essere divulgati agli stakeholders (i), devono essere adottate delle azioni fattive dirette alla conservazione (ii) e queste devono essere testate per valutare che siano valide (iii). Se lo sono, lo step finale deve essere la definizione di politiche che normino la corretta gestione del problema (iv) [2].

Il Dottorato di Ricerca La conservazione della biodiversità nelle coltivazioni permanenti e negli ambienti prativi [3] ha permesso alla Sezione di Zoologia dei Vertebrati di arrivare a una buona comprensione dei fattori che regolano presenza, abbondanza, diversità e successo riproduttivo degli uccelli nei vigneti del Trentino e ciò ha posto in evidenza numerose emergenze, ma anche opportunità, legate alla conservazione dell’avifauna in questi sistemi agricoli intensivi.

Proprio per questo motivo ci è sembrato doveroso intraprendere il percorso delineato dai colleghi svizzeri, che speriamo ci porti presto a colmare il divario tra conoscenza e azione, così da aumentare la sostenibilità del sistema vigneto.

La strada tracciata dal gruppo di Berna individua come primo punto di questo percorso lo sforzo di rendere fruibile ai potenziali interessati i risultati salienti della ricerca.

Per far ciò abbiamo lavorato in sinergia con l’Unità Viticoltura del Centro di trasferimento tecnologico della Fondazione «E. Mach» di San Michele all’Adige, arrivando alla definizione di un decalogo di buone pratiche per conservare e favorire la biodiversità nei vigneti, che è stato pubblicato sul supplemento Viti e Vino della rivista tecnica L’Informatore Agrario, fra le più lette da agricoltori, tecnici agronomi o da chiunque sia interessato al settore primario in Italia.

Nel box che segue riportiamo questo decalogo, i cui suggerimenti possono essere utili a chiunque abbia a che fare con i vigneti e la viticoltura in Trentino, ma anche altrove.

 

Buone pratiche per favorire gli uccelli e la biodiversità nei vigneti (mod. da Assandri et al., 2017. Importanza degli uccelli per la biodiversità del vigneto. Viti e Vino, supplemento a L’Informatore Agrario, 27: 19-22)

Il decalogo che segue è stato predisposto su due livelli: buone pratiche a livello di paesaggio agricolo e a livello di vigneto. Questa scelta si è resa necessaria perché la dimensione media dell’azienda viticola in Trentino è inferiore all’ettaro. Di conseguenza alcune pratiche potrebbero essere sostenibili solo attraverso forme di aggregazione/cooperazione tra agricoltori o coinvolgendo soggetti terzi (ad esempio cantine sociali, consorzi di produttori, enti pubblici, ecc.). Al contrario, alcune altre riguardano la gestione diretta del singolo vigneto oppure richiedono un minimo sforzo in termini economici o di impegno, pertanto potrebbero essere adottate dal singolo.

Nel paesaggio agricolo

1. Mantenimento dell’eterogeneità ambientale
Nella monocultura intensiva a vigneto, la conservazione di ambienti naturali residui (boschetti, fasce incolte, piccole zone umide, ecc.) è il fattore che influisce in maniera più netta e positiva sugli uccelli. Idealmente, mantenere almeno il 15-20% di questi ambienti per ettaro avrebbe ricadute positive sull’avifauna.
In minor misura, anche la diversificazione delle tipologie colturali (prati, orti e piccoli frutteti, altre tipologie di coltivi, oltre al vigneto) può avere ricadute positive importanti.
Laddove l’eterogeneità ambientale è andata persa può essere molto difficile ricrearla, ma dove si è mantenuta, è importante conservarla, considerando anche le possibili ricadute turistiche e sociali che questo potrebbe comportare.

2. Mantenimento e piantumazione di siepi e filari di alberi
Nei vigneti trentini garantire un minimo di 30 m (ma auspicabilmente almeno 50 m) di siepi o filari alberati per ettaro favorisce gli uccelli e pertanto sarebbe buona pratica conservare questi elementi paesaggistici. Molte aree trentine hanno densità di siepi e filari ben al di sotto di questo valore (nelle aree più intensive anche meno di 18 m/ha) e quindi la messa a dimora di nuove siepi e filari sarebbe da incentivare. Per le piantumazioni sarebbero da favorire specie vegetali autoctone del Trentino e possibilmente produttrici di bacche (es. biancospino, sanguinello, rosa canina, viburno, sambuco, ecc.).
Le siepi sono alleate degli agricoltori perché difendono il vigneto dalla deriva degli aerosol dei trattamenti. Questa questione è cruciale anche considerando aspetti di salute pubblica ed è un tema sempre più sentito dai cittadini.
Ancor più che in altri casi, le siepi e i filari richiedono una pianificazione a livello di sistema, ricreandoli ad esempio lungo corsi d’acqua, strade e altre infrastrutture, o nei dintorni di centri abitati.

 

Siepi e filari alberati sono un importante elemento di discontinuità nella matrice agricola intensiva. Vallagarina (TN).

3. Favorire la pergola
Le due forme di allevamento della vite più frequenti in Trentino sono la Pergola (80% circa) e la Spalliera. La prima è molto legata alla tradizione locale, costituisce anche un elemento tipico del paesaggio ed è la più favorevole per gli uccelli, in particolare per le maggiori opportunità di nidificazione che offre a molte specie.

4. Corretta gestione di canali e fossi di irrigazione
In alcune aree del Trentino (es. Piana Rotaliana) sono presenti complessi sistemi di canali e fossi di irrigazione che ospitano una ricca biodiversità acquatica, in aree dove le zone umide naturali sono sostanzialmente scomparse.
La gestione attuale della vegetazione in questi fossi è talvolta incompatibile con le esigenze delle specie selvatiche, in quanto sono sistematicamente eliminate tutte le piante acquatiche flottanti (es. piantaggine d’acqua) e spondali (es. cannucce palustri) presenti negli stessi. Laddove questa pratica non possa essere evitata, sarebbe auspicabile che fosse effettuata tra ottobre e febbraio, non andando a interferire con la riproduzione primaverile-estiva dei molti animali che vivono in questo ambiente.

Nel vigneto

5. Mantenimento di elementi tradizionali
Alberi isolati (es. salici da fascine, gelsi, ciliegi e altri alberi da frutta), edifici rurali isolati (i baiti, come sono chiamati in Trentino) e muretti a secco favoriscono gli uccelli principalmente perché offrono potenziali siti di nidificazione, soprattutto a quelle specie che utilizzano cavità (es. civetta, assiolo, codirosso, torcicollo, upupa, cinciallegra, cinciarella, etc.). Per questo motivo, e per il valore estetico che conferiscono al paesaggio, sarebbe fondamentale mantenerli e recuperarli.
È da notare che i muretti cementati invece non hanno lo stesso effetto positivo, essendo molto più poveri di cavità.

Paesaggio vitato ancora relativamente ricco di elementi tradizionali quali siepi, alberi e cespugli isolati, muretti a secco, edifici in pietra e vasconi di raccolta dell’acqua. Giovo, Val di Cembra.

6. Come comportarsi se si trova un nido in vigneto
Alcune specie di uccelli si sono adattate a nidificare nei vigneti, costruendo il loro nido sulle viti o sui sostegni; quindi non è inconsueto trovare in campagna nidi di alcune specie che costruiscono i classici nidi a coppa. Essi devono essere lasciati al loro posto e disturbati il meno possibile, compatibilmente con l’attività agricola.
Gli uccelli che nidificano nei vigneti durante la stagione riproduttiva (cioè in primavera-estate) si nutrono di insetti e allevano i loro pulcini portando questo tipo di prede, che hanno un importante contenuto proteico, fondamentale per il loro accrescimento. Grazie a queste loro necessità trofiche, svolgono un ruolo di “biocontrollori” (quindi non danneggiano l’uva) predando anche insetti nocivi per la vite stessa.
Anche specie come il tordo bottaccio, il merlo, lo storno e la passera mattugia, comunemente ritenuti dannosi per l’uva, sono prevalentemente insettivori durante la nidificazione. I danni all’uva sono arrecati a nidificazione conclusa (in tarda estate), nella fase della maturazione dei grappoli, quando gli uccelli non sono più legati da tempo al loro luogo riproduttivo. Pertanto rimuovere i nidi in primavera per ridurre eventuali danni, non avrebbe alcuna efficacia di sorta (oltre a essere vietato dalla legge), poiché gli individui presenti a fine estate in molti casi non sono gli stessi che hanno nidificato in primavera. Piuttosto va notato come in estate molte specie che si nutrono di frutti, una volta terminata la riproduzione, preferiscano frutti come il sambuco e più avanti il corniolo, il prugnolo e il biancospino e altre rosacee, in quanto fonte di zuccheri utili nella fase dell’ingrassamento post-riproduttivo. In presenza di siepi tendono quindi a preferire i frutti delle specie vegetali spontanee all’uva.

7. Cassette nido
Apporre nel proprio vigneto una (o alcune, ma non più di tre per ettaro e preferibilmente di diversa dimensione) cassette nido per uccelli (e anche per pipistrelli), oltre che favorire in modo efficace la biodiversità, può avere un effetto positivo per l’agricoltore, in quanto tutti gli uccelli che le occupano sono insettivori (come i pipistrelli) e possono contribuire a limitare gli insetti nocivi.
Questa pratica è importantissima e altamente raccomandabile nelle aree più intensive e prive di ambienti marginali ed elementi tradizionali, dove le possibilità di nidificazione per molte specie che si riproducono in cavità sono drasticamente ridotte.

8. Taglio dell’erba
I vigneti trentini sono in gran parte inerbiti in tutto il corso dell’anno. L’erba è essa stessa biodiversità floristica e allo stesso tempo favorisce sia gli insetti e altri piccoli animali, sia gli uccelli.
Consigliamo di ridurre quindi all’indispensabile i tagli e di evitarli ove possibile nel periodo aprile-giugno.
Allo stesso tempo va rilevato come proprio la presenza di un prato con erba bassa sia uno dei principali motivi di presenza di alcune specie che si nutrono a terra.
Considerando quindi anche le esigenze di taglio per motivi fitosanitari, durante questa attività è auspicabile che il vigneto non sia tagliato tutto “a raso”, ma che siano mantenute delle “isole” di erba alta. Alcune di queste isole dovrebbero essere mantenute per più anni ed essere sfalciate al massimo una volta all’anno in autunno-inverno. Queste isole possono essere ricavate in aree marginali non produttive del vigneto (es. margini, rampe d’ingresso, dintorni dei casotti per gli attrezzi).

L’alternanza di erba alta e bassa nel vigneto, garantita da uno sfalcio parziale, favorisce la biodiversità e in particolare quegli uccelli insettivori che si nutrono a terra. Vezzano, Valle dei Laghi (TN)

9. Frequenza degli ingressi nei vigneti
Il disturbo dovuto alle pratiche agricole ha effetti negativi, dimostrati in particolare nelle prime fasi della riproduzione degli uccelli; di conseguenza, compatibilmente con le ovvie esigenze agricole, sarebbe auspicabile ridurlo al minimo soprattutto tra marzo e maggio. Fortemente impattante è anche il trattamento notturno, poiché la gran parte delle specie che nidificano nei vigneti sono diurne e sono quindi spesso impossibilitate a tornare rapidamente al proprio nido dopo la cessazione del disturbo, mettendo a grave repentaglio il successo della nidificazione.

10. Vasche per il verderame e raccolta d’acqua a scopo irriguo
In molti vigneti si trovano ancora antichi vasconi, utilizzati un tempo per la preparazione del verderame da irrorare sulle viti o quali riserve d’acqua per irrigare e per conservare i rami di salice utilizzati per legare i tralci delle viti. Con le moderne tecniche agronomiche queste strutture sono oggi spesso inutilizzate e abbandonate e col tempo finiscono per essere distrutte o interrate. Il loro mantenimento e recupero a fini naturalistici (riempendole d’acqua e adattandole con minimi accorgimenti che consentano l’utilizzo da parte della fauna), oltre a essere esteticamente piacevole, può favorire la presenza di numerosi piccoli animali legati agli ambienti acquatici, come l’ululone dal ventre giallo, un piccolo rospo di grande interesse naturalistico e tutelato anche a livello europeo dalle direttive comunitarie.

Ringraziamenti – Si ringraziano i colleghi dell’Unità Viticoltura del Centro di trasferimento tecnologico
Della Fondazione «E. Mach», in particolare F. Ghidoni, F. Penner, M. Bottura, M. Venturelli, C. Ioriatti.

Fonti citate
1. Anon. The great divide. Nature. 2007;450: 135–136.
2. Arlettaz R, Schaub M, Jérome F, Reichlin TS, Sierro A, Watson JEM, et al. From publications to public actions: when conservation biologist bridge the gap between research and implementation. Bioscience. 2010;60: 835–842.
3. Assandri G. Biodiversity conservation in permanent crops and grasslands. Università degli Studi di Pavia. 2016.

Trento, secondo piano del Museo delle Scienze: nella Sezione di Zoologia dei Vertebrati fervono i preparativi per una nuova stagione di monitoraggio della migrazione degli uccelli! Dal 1° agosto fino al 27 di ottobre, le nostre reti torneranno a gonfiarsi sopra il valico di Bocca Caset, sul Monte Tremalzo in Val di Ledro.

 

La Stazione di Inanellamento del MUSE presso il valico di Bocca Caset.

 

La squadra di ricercatori e collaboratori è pronta per trasferirsi a 1600 m di quota per studiare uno dei più straordinari fenomeni del mondo naturale: la migrazione degli uccelli. Dopo 25 anni, l’entusiasmo è quello della prima volta…sarà abbondante il passo? Quale sarà la specie più numerosa? Riusciremo a inanellare qualche specie rara? E il meteo…. ci assisterà?

Fiore all’occhiello della Rete di Riserve Alpi Ledrensi, l’area che circonda Bocca Caset (Zona di Protezione Speciale della Rete Natura 2000 del Trentino) è un luogo privilegiato per osservare soprattutto nelle mattinate tardo estive e autunnali le molte specie che sorvolano in stormi numerosi questo luogo, spinti fin qui dall’orografia delle montagne e dalla direzione dei venti.

 

Un esemplare di Assiolo (Otus scops) appena inanellato

Gli uccelli catturati vengono “marcati” mediante l’apposizione di un leggerissimo anello di metallo riportante un codice alfanumerico: chiunque lo ritrovi saprà che quell’uccello è passato per questo valico prealpino. Vengono poi registrati i valori di alcune biometrie e l’animale viene infine rilasciato. Di stazioni come quella di Bocca Caset ne esistono altre 10 dislocate lungo l’arco alpino italiano: operano in simultanea, secondo tecniche standardizzate, coordinate dal Progetto ALPI. Una seconda in Trentino, sempre del MUSE, verrà aperta al Passo del Broccon, in Trentino orientale, da fine settembre per tutto ottobre.

Il Progetto ALPI è coordinato dal Centro di Inanellamento ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento: un monitoraggio a lungo termine avviato nel 1997 e finalizzato alla comprensione delle modalità e periodi di attraversamento delle Alpi delle oltre cento specie che vi transitano e dell’ecologia della migrazione.

 

Per chi desidera farci visita, a partire dal 5 agosto, sarà possibile partecipare alle attività promosse dalla Rete di Riserve Alpi Ledrensi, in particolare:

Visite guidate per gruppo alla Stazione sono organizzate dal Consorzio Turistico Valle di Ledro (http://www.vallediledro.com/it/escursioni-natura-in-volo-sulle-alpi-8), in collaborazione con la Rete di Riserve.

Per gruppi familiari: è possibile visitare la stazione dopo le 10,00; potrete dialogare con i ricercatori, assistere alle operazioni di inanellamento e osservare da vicino gli intrepidi viaggiatori dei cieli.

 

Regolo (Regulus regulus) in sosta. Sulla zampa sinistra si nota il piccolo anello di metallo.