Finanziati attraverso l’Operazione 7.6.1. del Piano di Sviluppo Rurale della PAT, gli studi hanno riguardato habitat e specie Natura 2000 presenti nel territorio dell’area protetta.

Fra questi, la caratterizzazione degli habitat riproduttivi della salamandra nera (Salamandra atra), con un focus particolare circa la valutazione delle possibili azioni di tutela della specie. Altra attività condotta riguarda la caratterizzazione degli habitat prativi attraverso lo studio degli effetti della gestione di questi ambienti sulla biodiversità mediante indagini mirate su alcune specie indicatrici di qualità ambientale, come l’averla piccola (Lanius collurio) e il re di quaglie (Crex crex).

Lo studio ha preso anche in esame gli habitat forestali e quelli rupicoli. Nel primo ambito è stata condotta una indagine sullo stato di conservazione degli ecosistemi forestali, attraverso lo studio di alcuni tetraonidi, con particolare riferimento al francolino di monte (Bonasa bonasia) quali specie indicatrici, mentre per gli ambienti rupicoli sono state approfondite le conoscenze su alcune specie di rapaci che nidificano in tali contesti.

Queste attività, hanno lo scopo di implementare lo stato delle conoscenze di alcune specie e habitat Natura 2000 che caratterizzano il territorio, al fine di verificare l’efficacia delle misure di conservazione adottate e di concorrere all’aggiornamento o alla implementazione delle strategie di conservazione.

Fonte della notizia: https://www.parcopan.org/una-ricerca-del-parco-e-del-muse-su-habitat-e-specie-natura-2000/

Restituire una fotografia oggettiva della presenza di orsi problematici in provincia di Trento e nelle Alpi centro orientali; fornire una stima del numero di individui problematici che potrebbero comparire nei prossimi anni; valutare l’efficacia delle modalità di intervento indicate dal Piano d’Azione interregionale per la Conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi Centro-Orientali (PACOBACE). Sono queste le tre direttrici attorno a cui si è sviluppato il lavoro dei ricercatori ISPRA e MUSE per la stesura del rapporto tecnico recentemente diramato dalla Provincia Autonoma di Trento.

Nell’inquadrare la situazione attuale, il rapporto analizza nel dettaglio la casistica delle situazioni critiche registrate tra il 2009 e il 2019.  La presenza di orsi problematici è un tratto comune a tutte le popolazioni di orso. La proporzione di individui che si rendono responsabili di conflitti con l’uomo rappresenta però una minima parte rispetto al totale. In Trentino, gli orsi particolarmente problematici sono stati in tutto 19, suddivisibili in differenti categorie: 6 orsi dannosi e 15 orsi pericolosi, a loro volta suddivisi in orsi confidenti (11) e orsi che hanno attaccato persone (4).

All’origine di questi comportamenti troviamo una molteplicità di fattori: le caratteristiche dell’ambiente, la compresenza di attività antropiche, le specificità della popolazione e dei singoli individui e, non ultimo, i comportamenti umani inadeguati. In questa complessità, l’importanza delle azioni di prevenzione appare evidente. Tra queste rientrano l’installazione di cassonetti dei rifiuti “anti-orso” e di recinzioni a difesa delle attività apistiche, agricole e zootecniche, l’informazione diffusa sui comportamenti più corretti da tenere.

Grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e relative
azioni previste dal PACOBACE. Le lettere i-j-k stanno rispettivamente per: cattura con rilascio allo scopo di spostamento e/o radiomarcaggio; cattura per captivazione permanente; abbattimento.

Nel sondare lo sforzo proattivo svolto fino ad oggi dal Servizio competente della Provincia, il rapporto getta uno sguardo anche al futuro, provando ad inquadrare l’insorgenza di nuove situazioni conflittuali alla luce dell’evoluzione demografica della popolazione trentina di orso tracciata dai modelli. Ad oggi, appare chiaro che gli interventi di gestione messi in atto e altre cause antropiche di mortalità hanno contribuito a mantenere il numero di animali problematici relativamente stabile. Con una stima di circa 130 animali nel 2025 (piccoli dell’anno esclusi), i risultati suggeriscono che nei prossimi 5 anni, il numero di orsi che potrebbe manifestare comportamenti problematici si aggiri intorno ai 5 individui (in media 1/anno), arrivando a 15, nello scenario più pessimista.

Le proiezioni riguardanti la demografia della popolazione e l’insorgenza di orsi problematici nei prossimi 5 anni.

Nel trattare queste previsioni (e i relativi limiti interpretativi), il rapporto dedica anche un’analisi approfondita alle criticità legate alla misura gestionale più energica indicata dal PACOBACE: la rimozione. Tale azione, che fino ad oggi si è tradotta per lo più in una captivazione permanente, in un futuro prossimo e a lungo termine, è ritenuta insostenibile per diverse ragioni: i costi di mantenimento per orsi e strutture nel lungo periodo; le criticità in termini di benessere animale; l’impossibilità di rilasciare nuovamente in natura animali ormai abituati all’uomo. È chiaro, dunque, che in presenza di un orso per il quale ogni azione di prevenzione e dissuasione si sia dimostrata inefficace l’abbattimento potrebbe rendersi un’opzione necessaria e inevitabile. Si tratterà in ogni caso di una decisione fondata sulla ricostruzione oggettiva dei fatti e sulla storia individuale dell’orso problematico.

Le evidenze dirette ed estratte dalla bibliografia internazionale dimostrano che una gestione proattiva che miri a prevenire l’insorgere di comportamenti problematici, in particolare confidenti verso l’uomo, rappresenta una strategia molto più efficace rispetto alla gestione reattiva (e.g. dissuasione o rimozione degli individui) e può evitare il manifestarsi di criticità di gestione limitando i conflitti sociali.

Il Rapporto sottolinea quindi la priorità di rafforzare gli sforzi tesi a prevenire l’insorgenza di comportamenti potenzialmente pericolosi ed il verificarsi di condizioni di rischio, in particolare riducendo le probabilità di condizionamento alimentare e di avvicinamento a centri abitati e altre strutture umane tramite l’implementazione di azioni specifiche. Viene ribadita inoltre l’importanza delle azioni di comunicazione e di un monitoraggio attento della popolazione e delle situazioni di rischio al fine di garantire interventi efficaci nelle situazioni critiche ed una corretta informazione della popolazione.

Viene inoltre segnalata la necessità di una migliore e più trasparente rendicontazione da parte della Provincia Autonoma di Trento di tutti gli episodi potenzialmente critici, al fine non solo di garantire valutazioni tecniche accurate da parte di enti esterni, ma anche di evitare la circolazione di notizie false o inaccurate riguardo tali episodi, che contribuirebbero all’esacerbarsi di conflitti sociali.

 

Il raro chirottero è stato rinvenuto martedì 26 gennaio 2021 nella piazza di Piedicastello a Trento. Si tratta di una delle poche osservazioni trentine: in provincia non si conoscono infatti dormitori o colonie di questo particolare mammifero.

Irzio Maiolini, 7 anni, non credeva ai suoi occhi quando, la mattina di martedì 26 gennaio 2021, sulla neve del centro di Piedicastello, ha rinvenuto morto, presumibilmente assiderato in conseguenza delle temperature notturne molto basse, un grosso pipistrello dall’aspetto inconsueto: grigio scuro, con grandi orecchie tondeggianti rivolte in avanti, muso con labbra superiori mollemente ricadenti in pliche su quelle inferiori come in un improbabile bull-dog francese, e lunga coda libera e sporgente all’indietro.
È bastata una rapida consultazione con la Sezione Zoologia dei Vertebrati del Museo delle Scienze (il papà di Irzio, Carlo, lavora al MUSE dove fa parte del gruppo di Citizen Science) per capire che si trattava di un ritrovamento singolare: un esemplare adulto del molosso di Cestoni, Tadarida teniotis, una delle specie di Chirotteri meno note del Trentino, probabilmente deceduto a causa del freddo pungente dopo aver abbandonato una soffitta o un qualche anfratto in un edificio storico dove stava ibernando.

L’esemplare rinvenuto a Piedicastello

Il “molosso” (descritto come specie all’inizio dell’Ottocento da un biologo statunitense che lo dedicò alla memoria del naturalista marchigiano del Seicento Diacinto Cestoni) è un pipistrello presente nell’Europa mediterranea, in Africa settentrionale e in vaste zone dell’Asia centrale, abitualmente legato ad ambienti rupestri, come falesie affacciate sul mare o pareti rocciose in vallate montane; in tempi recenti si sono intensificate anche le segnalazioni in ambiente urbano, soprattutto ai piani alti delle vecchie case dei centri storici.
La specie ha preferenze rupicole sia in periodo riproduttivo (quando viene dato alla luce un solo piccolo all’anno, tra giugno e luglio), sia nella scelta dei siti di svernamento, dove passa i mesi freddi in una condizione che, più che una vera letargia, è un profondo torpore, da cui è indotto al risveglio dal miglioramento anche temporaneo delle condizioni meteoclimatiche.

In Trentino, però, spiegano gli esperti del MUSE, il molosso di Cestoni è poco più di un fantasma. Le informazioni su distribuzione e abbondanza sono ancora lacunose.

Il Molosso di Cestoni nell’Atlante dei Mammiferi della provincia di Trento.

«Le notizie riguardanti la presenza della specie in Trentino – confermano dal Museo delle Scienze – sono molto scarse e frammentarie: finora non è stato scoperto alcun dormitorio o colonia riproduttiva di questi animali, né sono noti siti stabilmente utilizzati per svernare.
Eccezione fatta per qualche esemplare catturato occasionalmente durante l’attività autunnale di monitoraggio della migrazione degli uccelli e inanellamento a scopo scientifico ai valichi del Caset e del Brocon (presumibilmente in migrazione post-riproduttiva “verticale” da territori montani verso aree invernali più a bassa quota), le segnalazioni nella nostra provincia superano a malapena la decina.
Il nostro sfortunato “mastino con le ali”, perito in una notte di mezzo inverno, ci lascia dunque un prezioso dato di presenza svernante, per di più in contesto urbano, dove di questa specie si sa ancor meno
».

Da qui si intuisce l’importanza della Citizen Science, l’insieme di pratiche che coinvolgono i cittadini nella costruzione del sapere scientifico. Un processo partecipativo che il MUSE, dal 2019 membro di ECSA (Associazione Europea di Citizen Science), sta sviluppando con un portfolio coordinato di attività dedicate, nell’ottica di costruire sia in campo educativo che sociale una scienza intesa come bene comune, democratica, aperta e accessibile a tutti.

Chi avesse segnalazioni legate ai pipistrelli o volesse semplicemente saperne di più su come comportarsi in caso di osservazioni o ritrovamenti, può rivolgersi agli esperti del MUSE attraverso il progetto di Citizen Science “S.O.S Pipistrelli”.
A questo proposito si coglie l’occasione per specificare che le specie di chirotteri presenti in Italia non corrispondono alle stesse segnalate in Cina come potenziali responsabili della trasmissione del coronavirus. La loro presenza non deve quindi destare paure ingiustificate. Anzi, questi animali, preziosi bioindicatori, segnalano un buon livello di salute ambientale.

Prosegue, inoltre, l’attività del gruppo Facebook “Citizen Science MUSE”, che ha da pochi giorni superato i mille iscritti: un luogo virtuale dove poter richiedere l’aiuto degli esperti del MUSE per tutti i dubbi identificativi relativi a minerali, rocce, fossili, piante e animali.

Immagini: Osvaldo Negra, Carlo Maiolini, Paolo Paolucci