Un anno fa, commentando i numeri record della migrazione 2017, raccomandavamo ai nostri lettori di non abbandonarsi a facili entusiasmi. Il passo era stato abbondante e vario, ma ciò non significava necessariamente “buone notizie” per gli uccelli migratori. E la conferma del nostro prudente giudizio non ha tardato a manifestarsi, poiché in questo 2018 l’intensità della migrazione è stata significativamente inferiore in entrambe le stazioni gestite dal MUSE.

In poco meno di tre mesi trascorsi a Bocca di Caset (Valle di Ledro) abbiamo inanellato quasi 6.700 uccelli, mentre nel mese trascorso al Passo del Brocon (Tesino) gli individui inanellati sono stati poco più di 4.000: rispettivamente 5.300 e 3.000 uccelli in meno rispetto al 2017. Anche la diversità di specie è stata inferiore: 69 a Bocca Caset e 51 al Passo Brocon. Tra i migratori intrapaleartici (che svernano all’interno del bacino del Mediterraneo), il pettirosso è stato l’unico a presentare un andamento in linea con gli anni precedenti, a testimonianza di un generale calo del transito, soprattutto nel periodo tardo estivo fin verso i primi di ottobre.

 

Il fringuello, protagonista della migrazione di ottobre.

Unica eccezione è stato il fringuello, che, nonostante l’inizio ritardato, ha caratterizzato la migrazione ottobrina, transitando in gran numero in entrambi i valichi. Al suo, si è accompagnato poi il passaggio regolare e tipico delle annate di non invasione, dei lucherini. Nel bilancio generale sono mancati i migratori transahariani, tra cui le balie nere, solitamente comuni, ma quest’anno praticamente dimezzate rispetto al 2017. Meno numerose anche le specie nomadiche e invasive, come crociere, cincia mora e frosone. Per Bocca Caset, tuttavia, i grandi assenti sono stati le specie locali e sedentarie (fra le quali anche la civetta capogrosso), che a fronte di una stagione segnata da produttività scarsa non ha fatto registrare il consueto numero di giovani dell’anno nati nei boschi di Tremalzo.
Nonostante il calo numerico, il 2018 ci ha comunque regalato qualche cattura singolare, come l’upupa inanellata il 29 agosto a Bocca di Caset o l’albanella reale e il gufo di palude al Passo del Brocon. Tre sono state anche le ricatture estere: un pettirosso con anello polacco al Brocon e a Caset due lucherini inanellati l’anno precedente sul versante opposto, in Svizzera.

L’upupa di Bocca Caset (Ph. Arch. MUSE) e il gufo di palude del Brocon (Ph. Alvise Luchetta).

 

Una stazione però non è solo il numero di catture…prima ancora è fatta di persone, di relazioni e di collaborazioni. E da questo punto di vista, il 2018 ci ha offerto un quadro decisamente positivo. Le persone che si sono avvicendate nelle due stazioni sono state quasi 90, tra ricercatori, studenti, tirocinanti e appassionati. Più di 1000 i visitatori, che hanno potuto osservare da vicino le nostre attività e sempre più in crescita il numero di persone che ci segue attraverso le pagine ufficiali delle due stazioni (Caset e Brocon) del MUSE.
Una stazione è ricerca, in collaborazione con enti esterni: è il caso dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo, attraverso il campionamento di zecche, ha raccolto nuovi dati per il suo studio dedicato al trasporto aviario di patogeni. Intensa è stata anche l’attività di formazione, rivolta a tesisti, studenti universitari e dell’alternanza scuola-lavoro, agli aspiranti inanellatori e, quest’anno in particolar modo, al personale del Corpo Forestale della PAT.

 

Lucherino con anello svizzero e pettirosso con anello polacco.

 

Un insieme di iniziative e opportunità che danno ulteriore valore ai territori dove si svolgono. Un esser presenti per monitorare sul lungo periodo (abbiamo ormai superato i 25 anni di attività continuativa), supportati dalla rete nazionale del Progetto ALPI e dagli appassionati “locali”, ancora capaci, dopo tutto questo tempo, di meravigliarsi per le quotidiane sorprese. Un’attività possibile, grazie alla disponibilità del MUSE e al coordinamento di ISPRA, sostenitori dell’iniziativa, ma anche grazie ai tanti che ogni anno vi partecipano, rendendola viva e condivisa. A tutti va il nostro ringraziamento e il rinnovato invito a ritrovarci il prossimo anno per proseguire nella raccolta di dati utili alla tutela e alla conservazione delle tante specie che transitano sulle Alpi.

Paolo Pedrini, Alessandro Franzoi, Francesca Rossi e Chiara Fedrigotti

 

Foto immagine in evidenza: reti lungo il crinale al Brocon (Ph. Alvise Luchetta)

Il censimento delle garzaie, le colonie di nidificazione degli Ardeidi, rappresenta una delle più tradizionali indagini ornitologiche condotte nei nostri territori. Lo studio dei siti dove una o più specie di aironi costruisce i propri nidi permette infatti di conoscere gli andamenti delle loro popolazioni, offrendo inoltre indizi sullo stato di salute delle zone umide in cui le garzaie si concentrano.

Pochi giorni fa è stato pubblicato online il resoconto dell’ultimo censimento, svolto durante il 2017 nei territori del Veneto e delle Provincie di Trento e Bolzano. L’indagine ha riguardato 7 specie di Ardeidi (airone cenerino, garzetta, nitticora, airone rosso, airone guardabuoi, sgarza ciuffetto e, dove presente, airone bianco maggiore) e 2 di Falacrocoracidi (cormorano, marangone minore), distribuite su un totale di 145 garzaie.
Già ad un rapido sguardo, i dati raccolti offrono una panoramica significativa sullo stato di queste specie di uccelli nell’area di studio. Il numero di coppie presenti si aggira tra le 6300 e le 6800 coppie, con dimensioni medie di 45 coppie per garzaia, raggiungendo però anche punte di più di 100 coppie (in 17 siti). 8 le garzaie rilevate in Provincia di Bolzano, 10 in quella di Trento e 127 in Veneto. È stata accertata la nidificazione di nove specie: airone cenerino (2216-2420 coppie), airone guardabuoi (630- 661), garzetta (707-780), nitticora (324-358), airone rosso (266-280), airone bianco maggiore (2), sgarza ciuffetto (29-33), cormorano (930-952) e marangone minore (1195-1322), mentre la riproduzione dell’ibis sacro è da considerarsi solo possibile.
Per la Regione Veneto, dove la serie storica di dati risale al 1987, è stato possibile anche compiere alcune riflessioni sul trend delle popolazioni: dopo una fase di crescita più o meno accentuata tra il 1987 ed il 2000, il numero di ardeidi coloniali si era successivamente stabilizzato, mantenendosi attorno alle 4000 coppie.

Dal 2000 al 2017 gli andamenti delle singole specie sono contrastanti: in aumento forte o molto forte airone cenerino e airone guardabuoi, in marcato decremento garzetta e aione rosso. Per nitticora e sgarza ciuffetto le valutazioni sono meno sicure. Negli stessi anni, le popolazioni di cormorano e marangone minore si sono invece caratterizzate per un aumento decisamente più marcato.
I risultati ottenuti sono il frutto della collaborazione tra diverse realtà trentine e venete, attive a livello locale: Ass. Sagittaria, Ass. Verona Birdwatching, Ass. Venezia Birdwatching, Ass. Faunisti Veneti, Gruppo Nisoria, LIPU PD, MUSE, Dolomiti Birdwatching, Po Delta Birdwatching. Un bell’esempio di azione sinergica, che rivela le grandi potenzialità e applicazioni della “scienza partecipata” (Citizen Science) e che proseguirà anche nel 2019.

Per saperne di più, scaricate il PDF del resoconto completo al seguente link:
PDF alta risoluzione (22 MB) https://www.birdingveneto.eu/garzaie/garzaie_biveneto_2017.pdf
PDF bassa risoluzione (2 MB) https://www.birdingveneto.eu/garzaie/garzaie_biveneto_2017_low.pdf

oppure visitate il sito https://www.birdingveneto.eu/garzaie/garzaie.html

Risale al 2013 la prima segnalazione di Gambero della Louisiana (Procambarus clarkii) presso il Lago di Lagolo. Si tratta di una specie aliena invasiva originaria del Sud degli Stati Uniti. Marrone-rossastro da adulto, sulle tinte grigie da giovane, ha dimensioni comprese tra i 10 e i 20 cm; nel 1973 viene introdotta in Spagna per l’allevamento e oggi è diffusa in 13 Paesi europei. Le modalità con cui questo animale ha raggiunto il piccolo laghetto in Valle dei Laghi sono ancora oggi sconosciute: potrebbe essere avvenuta involontariamente, magari attraverso l’introduzione di giovani gamberi insieme al pesce durante le semine, oppure volontariamente.

A seguito della segnalazione, la Rete di Riserve del Basso Sarca si è adoperata per la realizzazione di un’azione di controllo/eradicazione, che ha visto affidare all’Unita di Idrobiologia della Fondazione Edmund Mach l’elaborazione di uno studio di fattibilità. La fase preliminare, cominciata l’8 ottobre scorso, si è concretizzata attraverso un’attività di cattura-marcatura-ricattura, finalizzata alla raccolta di informazioni sul numero di gamberi presenti nel lago e sulle zone di maggior concentrazione di individui, utili ad elaborare la strategia più efficacie per l’eradicazione, o per lo meno il contenimento, della popolazione. Operazione questa da svolgersi nel prossimo triennio.
Sono state così posizionate nel lago 48 trappole per gamberi, distribuite su 3 transetti posti a profondità diverse e innescate con mangime a base di pesce. Il giorno seguente, gli animali catturati sono stati caratterizzati per sesso, sottoposti al rilievo di peso e lunghezza e marcati mediante pennarello indelebile e quindi sono stati rilasciati. L’operazione è stata ripetuta per quattro giorni consecutivi. I gamberi catturati nel corso dell’ultima giornata di attività sono stati rimossi e smaltiti secondo le disposizioni previste dalla legge.

La necessità di rimuovere questi animali è strettamente connessa al carattere invasivo della specie, che per la sua aggressività è anche nota con il nome di “gambero killer”. Quando giunge in un nuovo ecosistema, può alterarne significativamente l’equilibrio, causando la drastica riduzione della vegetazione, degli invertebrati acquatici e degli anfibi. Pur vivendo in media poco più di 1 anno, è incredibilmente resistente, riuscendo ad adattarsi anche agli ambienti fortemente degradati, con acque poco ossigenate, salmastre e inquinate. Tollera ampie escursioni termiche e può sopravvivere anche per lunghi periodi fuori dall’acqua. I suoi effetti si estendono quindi anche al di fuori dell’ambiente acquatico: l’intensa attività di scavo che precede la costruzione delle tane causa gravi instabilità nelle sponde e significativi sono anche i danni alle coltivazioni che può frequentare durante il foraggiamento. Un’altra grave minaccia è rappresentata infine dalla “peste del gambero”, un fungo letale per i gamberi europei di cui P. clarkii è vettore.

Per saperne di più: Le proposte d’intervento per il controllo/eradicazione della specie, come previsto dalla normativa europea e nazionale sulle specie aliene invasive, sono state descritte nel Piano di gestione per il gambero di fiume in Trentino, realizzato nell’ambito dell’azione C10 del Progetto europeo LIFE+TEN e pubblicato nel 2017 (Piano di Gestione del Gambero di fiume in Trentino).