A cura di Mattia Brambilla e Paolo Pedrini

In tutto il mondo, le zone umide rappresentano uno degli ambienti più importanti per la biodiversità e per i servizi che offrono all’uomo ma, al tempo stesso, anche uno di quelli più a rischio, con secoli di bonifiche, inquinamento e regimazioni che ne hanno stravolto il “naturale funzionamento”. Negli ultimi decenni, molte aree protette sono state istituite per preservare quanto rimasto di questi preziosissimi ecosistemi; tuttavia, l’efficacia di questo regime di tutela è stata raramente valutata per le zone umide. Un recente studio condotto dalla nostra sezione, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Biological Conservation, ha valutato l’effetto di 30 anni di protezione delle zone umide in Trentino sull’avifauna acquatica: gli uccelli rappresentano infatti un ottimo bioindicatore, fornendo importanti informazioni sullo stato di salute degli ambienti e su come migliorare le azioni di conservazione e di gestione ambientale. I risultati, elaborati a partire dall’analisi dei monitoraggi ornitologici condotti tra il 1989 e il 2019, hanno permesso di valutare l’efficacia dei primi 30 anni di protezione degli ultimi lembi di zone umide nelle vallate alpine del Trentino (i Biotopi provinciali, L.P. 14/1986, oggi denominate Riserve Naturali, L.P. 11/2007).

Dalle analisi emerge un quadro articolato: durante questi tre decenni, il 43% delle specie censite è andato incontro ad espansione, mentre il 26% ha visto ridursi la propria distribuzione nelle 26 zone umide protette considerate. La creazione di questo sistema di aree protette ha permesso di salvare gli ultimi preziosi “scampoli” di zone umide naturali del territorio provinciale e di favorire il ritorno o l’espansione, come anche l’insediamento, di specie un tempo localizzate o che addirittura non nidificavano sul territorio provinciale, come airone cenerino, cormorano, svasso maggiore.
A questi risvolti positivi ha sicuramente contribuito anche l’incremento generale del livello di tutela diretta, soprattutto per quanto riguarda il divieto di caccia valido per molte delle specie considerate. Tuttavia, vi sono anche aspetti meno positivi e che richiedono alcune correzioni di rotta. Quel 26% di specie che appaiono in contrazione, infatti, non lo sono per caso. Se consideriamo il livello di specializzazione ecologica delle specie analizzate, ovvero il loro legame con particolari habitat, possiamo infatti notare come quelle in espansione siano prevalentemente le specie in grado di adattarsi ad habitat piuttosto diversi tra loro, sebbene comunque legati a laghi, fiumi e paludi. Altre specie, come il cannareccione o il migliarino di palude o come gli ormai pochi rallidi dei prati umidi, con esigenze molto più specifiche, appaiono in regresso all’interno della rete di aree protette.

Alcune delle specie considerate nello studio (da sx a dx): migliarino di palude, tarabusino e moretta. Ph. Mauro Mendini e Carlo Frapporti.

Le specie in espansione sono quindi in larga parte specie comuni, con andamento di popolazione generalmente favorevole anche in Italia e in Europa, come folaga, germano reale, airone cenerino, svasso maggiore, tuffetto, mentre quelle in contrazione in Trentino sono specie che hanno uno stato di conservazione sfavorevole anche a livello nazionale, come cannareccione, migliarino di palude e corriere piccolo. Queste differenze suggeriscono che la conservazione di zone umide isolate tra loro e prive di un programma di gestione degli habitat ad ampia scala e specificatamente orientato verso le esigenze dell’avifauna, non è sufficiente a preservare le specie più esigenti e legate a particolari habitat.

Trent’anni di conservazione a livello provinciale hanno di certo impedito la scomparsa di un patrimonio ambientale di grandissimo valore e aumentato l’attenzione nei confronti di questi ambienti naturali, un tempo poco considerati. Se vogliamo proseguire con successo, dobbiamo estendere le nostre attenzioni anche al di fuori dei confini delle aree protette, riqualificando o ripristinando le aree degradate o bonificate ai margini di terreni coltivati, ricreando canneti lungo le rive di laghi e fiumi principali, ampliando la rete di fossi e canali, per migliorare così la connettività ecologica fra i tanti piccoli ambienti residuali, come le zone umide, utile alla conservazione degli “specialisti” ma anche ad una più generale riqualificazione ambientale del paesaggio delle nostre vallate a forte fruizione antropica.
Queste considerazioni non valgono solo per il Trentino, possono essere estese a gran parte d’Italia e d’Europa, dove le zone umide sono ambienti residuali, spesso di piccole dimensioni e isolati tra loro. Per una buona “fetta” di specie, oltre a tutelare le aree residue, è necessario riqualificare e ricollegare questi ambienti. La corretta conservazione delle zone umide deve essere ai primi posti nelle priorità di intervento per chi si occupa di conservazione della natura, per il loro valore ineguagliabile in termini di biodiversità e di servizi ecosistemici.

Il presente lavoro si inserisce nell’ambito dell’attività di monitoraggio delle zone umide coordinata dal Servizio Sviluppo Sostenibile e Aree Protette della PAT. Oltre agli autori dell’articolo, hanno contribuito al lavoro gli ornitologici della Sezione (A. Micheli, E. Osele, G. Speranza, L. Marchesi, , L. Uber,  M. Segata, S. Nicolodi). Ha collaborato al riordino e alla gestione del dataset P. Lorenzo Sanchez della Sezione.

Germano reale. Ph. Osvaldo Negra/Arch. MUSE

 

IL PROGETTO “AVIFAUNA DEL TRENTINO” SU ORNITHO.IT

by Paolo Pedrini on

Nata nei primi anni 2000, oggi Ornitho è la piattaforma di condivisione dati più amata da ornitologi e birdwatcher di gran parte d’Europa, collezionando solo in Italia più di 18 milioni di osservazioni provenienti da circa 12.000 iscritti. Una mole di dati grandiosa, con una qualità garantita dal controllo sistematico delle identificazioni da parte di specialisti. Pubblicando le proprie segnalazioni, ciascun partecipante contribuisce alla formazione di una banca dati ornitologica costantemente aggiornata per tutto il territorio italiano e di una base conoscitiva sull’abbondanza, distribuzione e fenologia delle diverse specie di fondamentale importanza per la loro conservazione.

 

Da quest’anno inoltre, il MUSE-Museo delle Scienze di Trento ha promosso il Progetto “Avifauna del Trentino”, attraverso il quale perseguire questi stessi obiettivi nel territorio della provincia di Trento. I dati raccolti, ad integrazione e supporto dei monitoraggi in corso, arricchiranno il quadro di informazioni sull’avifauna del Trentino, favorendo il miglioramento dello stato di conservazione delle specie della Rete Natura 2000 e di quelle minacciate, indirizzando le azioni di protezione e gestione dei loro habitat. Per questo la partecipazione di ogni appassionato è così importante! Che tu sia al tuo primo accesso (la registrazione al sito è gratuita) o un utente esperto, per contribuire, ricordati dichiarare l’assenso alla partecipazione all’Avifauna del Trentino, nella tua scheda personale (alla voce Personalizzazione del sito). Sarà nostra cura dar credito e rilevanza al tuo aiuto.

Grazie per la collaborazione!

A cura di Valentina Oberosler e Marco Salvatori

Con i primi giorni di settembre si è conclusa la stagione di monitoraggio della fauna selvatica con foto-trappole nell’area del Brenta meridionale e del massiccio Paganella-Gazza, attività che la sezione di Zoologia dei Vertebrati, in convenzione con il Settore Grandi Carnivori PAT, porta avanti dal 2015. Come ogni estate, 60 siti distribuiti in un’area di studio di circa 220 km2 sono stati monitorati con foto-trappole, al fine di registrare passaggi di varie specie di mammiferi di medio-grandi dimensioni, dalla faina all’orso bruno, e quantificare parallelamente i tassi di disturbo antropico. Per rinfrescarvi la memoria sul progetto, aspetti tecnici e obiettivi, trovate qui l’ultima edizione del Rapporto Grandi Carnivori PAT, con un capitolo dedicato, e a una pubblicazione scientifica basata sui dati del primo anno di monitoraggio.

Personale MUSE al lavoro durante l’attivazione di una foto-trappola.

Tra le novità di quest’anno, un grande ritorno: dopo un singolo passaggio registrato nel 2015, nelle nostre foto-trappole è riapparso il lupo, il cui ritorno naturale sta interessando, in tempi diversi, varie zone del territorio provinciale. L’estate 2020 si conquista un altro piccolo primato: per la prima volta dall’inizio del progetto, orso e lupo sono stati fotografati negli stessi siti, nel corso della stessa stagione. Anche in questa stagione di campionamento, comunque, si conferma la predominanza di foto di esseri umani riscontrata negli anni scorsi: mediamente le ‘catture’ di persone sono oltre tre volte più numerose rispetto a quelle di fauna selvatica. Il quadro che ne risulta è quindi quello di un ambiente fortemente utilizzato dall’uomo, principalmente per ragioni turistiche. A questo proposito, è in fase di ultimazione un’analisi specifica che affronta il tema dell’effetto del disturbo antropico sui pattern spaziali e temporali di attività dell’orso bruno. A breve, nuovi aggiornamenti!

Orso e lupo “catturati” nello stesso sito da una foto-trappola nell’area di studio in Trentino Occidentale durante l’estate 2020.

Ma l’attività di foto-trappolaggio di Sezione quest’anno ha avuto la possibilità di ampliare i suoi orizzonti: dai boschi del Brenta ci siamo spostati ad oriente, verso la foresta dei violini, nel Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino. Grazie al supporto del Parco, formalizzato tramite una convenzione con il MUSE, è infatti iniziato da pochi giorni, con protocollo analogo a quello del Trentino occidentale, un programma di monitoraggio all’interno dei suoi territori e nelle zone limitrofe che proseguirà fino alla fine di novembre. Gli obiettivi ancora una volta sono vari: dal monitoraggio della presenza e arrivo di specie sul territorio alla derivazione di indici di abbondanza, da analisi specie-specifiche di distribuzione all’indagine degli effetti del disturbo antropico sulla fauna. Ci auguriamo che la stagione si svolga senza troppi intoppi e con un bilancio positivo, nell’ottica di avviare anche in Trentino orientale un programma di monitoraggio pluriennale come quello del Brenta, consentendoci di aggiungere un nuovo tassello alla conoscenza dei mammiferi che abitano le Alpi e di capire meglio come questi rispondono alle attività umane.